di Giuseppe Franzè
Sino a metà Settecento, sopravvivevano ancora alcuni ruderi della piccola Cappella di Santa Lucia nella contrada omonima. Il Clero di S, Maria Maggiore si attivò più volte per salvare la Cappella dal degrado ed attorno al 1720 si era resa promotrice della raccolta di oboli per porre mano a ristrutturazioni e restauri.
Fu installata all'ingresso della Cappella una cassetta in ferro, solidamente murata, ma, dopo qualche mese, fu asportata e trafugata da ignoti e sacrileghi ladri. Poi l'inarrestabile degrado, ma sino a fine ai primi del Novecento, su un muretto superstite, c'era una grande icona di S. Lucia poggiata su una mensola di pietre, dove i devoti accendevano candele e lumini. Sullo spiazzo, che circondava l'antica Cappella, ogni anno, il 13 dicembre, aveva luogo la Fiera di S. Lucia e gli acquirenti scendevano a frotte per comprare un gallo ruspante, i fichi secchi, la castagne cotte al forno e le forme di pecorino affumicato di Acri. ( Molto fiorente la vendita - per la felicità dei bambini - delle triadi di uova fresche di gallina, dipinte con i tre colori della bandiera italiana e dei cavallini rampanti di caciocavallo secco). Nel mese di dicembre del 1906, l'Avv. Gaetano Attanasio, Sindaco della città ed ormai destinato a cedere il posto all'emergente Avv. Vincenzo Fino, ospitò il suo amico Cav. Giovanni D'Aloe, già Regio Commissario al Comune sino al mese di maggio dello stesso anno, ed insieme, in carrozza, scesero alla Fiera ed il Cavaliere fece molteplici acquisti esprimendo grandi apprezzamenti per la qualità delle leccornie in vendite. A fare la parte del leone nelle vendite fu sempre il gallo ruspante, perché, i devoti, per propiziarsi le grazie della Santa ed essere protetti nella tutela della vista, dopo il cenone con le " tredici cose" della vigilia, si usava organizzare il Pranzo di Santa Lucia, la domenica successiva. La pietanza regina era a base di carne disossata di gallo alla brace, con contorno di patatine d'annata cotte nella cenere calda ed irrorate con olio aromatico. Immancabile il vino rosso autoprodotto, già spillato la sera della Vigilia, anche se ancora non molto chiarificato, a causa della feccia volatile. Si formò, così, la dizione della "Festa del Gallo", che coinvolgeva tutte le famiglie coriglianesi , a prescindere dal reddito, perché i più poveri il gallo lo allevano in casa.