Foto: il prof. Giulio Iudicissa
Sull'ultimo numero del periodico coriglianese "Nuova Corigliano" diretto dal prof. Giulio Iudicissa, in distribuzione in questi giorni, viene pubblicato in prima pagina un interessante articolo proprio a firma del direttore. Un articolo che parla di Corigliano e che è diretto ai coriglianesi. Noi lo riteniamo alquanto significativo soprattutto in questo particolare periodo storico dove al centro del dibattito politico, amministrativo e cittadino c'è l'argomento fusione.
Qui di seguito ve lo proproniamo, anche perché, secondo noi, sarebbe davvero interessante avviare un dibattito su quanto sostiene il prof. Iudicissa.
Siamo più fragili
di Giulio Iudicissa
Pensiamo di essere diventati più forti e, a volte, la diamo anche questa impressione. La realtà, però, racconta una storia complessiva di segno contrario: siamo - chi più, chi meno - diventati più fragili. Famiglia, scuola, chiesa, partiti, al di là delle immagini e delle parole, hanno sostanza molle e piedi d’argilla. Dicono, dicono il contrario, tornano a dire, poi, tornano a dire il contrario. Fanno, fanno il contrario, tornano a fare, poi, tornano a fare il contrario. Non c’è bussola e, dunque, non c’è meta. Concluso il tempo eroico del dopoguerra e della ripresa economica, si va avanti per inerzia o per piccole spinte, ma manca la visione di un approdo, che dia conforto a noi e speranza alle generazioni venienti. Abbiamo riformato tutto, enti, stato, parastato, tutto quello che, quantunque povertà strutturali e difetti, era sopravvissuto all’aggressione del clima e dell’uomo, per ritrovarci, ora, con famiglia sfilacciata, scuola ansimante, chiesa spopolata, partiti sbiaditi. Segni, tutti segni oggettivi di un contesto, che, tra mille agi apparenti, alla fine ci ritrova in una solitudine inquieta. Io dico che amiamo anche di meno. E questo è segno ulteriore della nostra odierna fragilità. Amiamo di meno, checché se ne dica, persone e cose. Amiamo di meno anche la nostra terra, la nostra città. E questa si sgretola, va in frantumi, sprofonda, incustodita, abbandonata. Corigliano, quella che un giorno fu la nostra Corigliano. Cosa resta di essa? Non l’abbiamo amata e, perciò, resta di essa poco, quasi nulla. Le cose che non si amano invecchiano e muoiono. E non si dia la colpa al tempo. Il tempo inghiotte solo ciò da cui l’uomo, per disinteresse, si separa. Ecco, le ultime vicende politiche ed amministrative dicono che noi, Coriglianesi d’oggi, siamo diventati più fragili ed amiamo di meno la nostra città.{jcomments on}
Articolo tratto dal periodico "Nuova Corigliano"