di Giacinto De Pasquale

Il caro amico Giovanni Scorzafave ha voluto ricordare, attraverso un racconto tratto dal suo volume "IL 1966 NELLA “MIA” CITTÀ: Corigliano Calabro -IL BAR “LA CASTAGNA” un personaggio che, come giustamente ha scritto, era l’amico di tutti: Giorgio Pisani.

Il caro e compianto Giorgio scomparso il 31 dicembre di 23 anni fa, nel dicembre del 1983 diede alle stampe il libro “’A vinella” che ho avuto l’onore e la fortuna di avere in regalo dall’autore alla mezzanotte del primo gennaio 1984 nel corso del veglione di capodanno all’Hotel “Il Cerro” nella montagna coriglianese, struttura gestita dai miei cari genitori Francesco e Maria Dramis. Un libro quello scritto da Pisani che ancora oggi, a distanza di 40 anni conserva un suo fascino, ma soprattutto è rimasto nei ricordi di tantissimi coriglianesi. Era da tempo che avevo in mente di pubblicare periodicamente le 50 poesie che compongono il volume stampato presso la tipografia “Tecnostampa” di De Luca e Gigliotti. Perciò da oggi avviamo questa nuova rubrica su questo blog dedicato al caro amico Giorgio Pisani. Ma prima di pubblicare le poesie è doveroso, da parte mia, pubblicare la presentazione al volume scritta dal grande ed indimenticato prof. Giorgio Otranto, grande amico dell’autore. Una presentazione, come avrete modo di leggere, che non si interessa solo del significato che l’autore da alle varie poesie, ma traccia anche, in maniera puntuale la figura di Giorgio Pisani.

Questa è la presentazione del prof. Otranto: “Quando Giorgio Pisani mi ha proposto di scrivere la presentazione per questa sua prima raccolta di poesie, ho avuto netta la sensazione che l'amicizia mi avesse giocato un brutto tiro. Da una parte non potevo nè, sinceramente, volevo tirarmi indietro, dall'altra mi rendevo conto di non essere all'altezza della situazione se non altro perché i miei interessi di studio e di ricerca sono piuttosto distanti dall'ambito della poesia in vernacolo o in italiano. Insieme all'amicizia, due altri motivi mi hanno però incoraggiato a supera­re ogni perplessità: la conoscenza che ho di Giorgio Pisani come uomo e il fatto che queste sue poesie, comunque le si consideri, conducono sempre, per un verso o per l'altro a Corigliano, di cui presumo di conoscere ancora certe connotazioni particolari. E sono due elementi indispensabili per capire e gustare sino in fondo questa raccolta di liriche. Nella quale l'uomo c'è tutto intero, col suo carattere estemporaneo, estroverso, direi perennemente goliardico, sempre pronto a ridere di sé stesso e degli altri. Questo lato della sua personalità affiora negli epigrammi dedicati agli amici, ai quali non risparmia motti salaci, e in alcune poesie in cui, incurante di formalismi e convenzioni, ritrae motivi "esistenziali" con un linguaggio spietatamente realistico di cui, in qualche caso, pare perfino compiacersi ('I scarpi sstritte,  'A fimmina,   'U  meccanico,  'U  tritrulu,  'U ncatrammatu). Questo è il Giorgio Pisani che tutti conosciamo e che ci ha ormai abituati al cliché del personaggio istintivo, scanzonato, godereccio. Dalla lettura attenta della raccolta emerge, comunque, anche un altro personaggio: diverso e, per i più, sorprendentemente nuovo. È il Giorgio Pisani che osserva attentamente il mondo circostante, cogliendone aspetti e motivi diversi che, interpretati e rivissuti dalla fantasia, si configurano come veri e propri quadretti di natura nel solco del fortunato filone della poesia idillica. Basta leggere, a questo riguardo, Ghè sira che ritrae il momento terminale di una giornata in campagna e presenta, con tocchi rapidi e incisivi, elementi che si compongono in una sorta di quiete naturale, che commuove l'A. e gli fa gridare: ghé bella sta sirata i primavera!

Foto di Luca Policastri

Così, guardandosi attorno, Giorgio è attratto e impressionato dalle piccole cose, dagli aspetti meno appariscenti del vivere quotidiano, su cui si sofferma insistentemente e con spiccata sensibilità. L'emigrante che parte ppi s'abbusccari chillu piezz'i pani, il vento che porta via pampini e giurnali, 'u mattu sulu cumu nu risierti, i muccusielli che iochin'a ra mazza, 'a notta funna funna, i grilli chi fanu nu cunciertu colpiscono la fantasia di Giorgio, diventano stati d'animo, e, senza che lui stesso se ne accorga, si fanno strumenti d'interpretazione del reale e del quotidiano. E' facile cogliere in molte poesie questa capacità di immedesimazione col mondo circostante insieme ad una sottile vena di pessimismo e di sfiducia negli uomini: sono due motivi che qualche volta spingono Giorgio ad appartarsi e a rifugiarsi nella contemplazione della natura (Ghia mi stai 'i sparti e mi guori 'a nuttata). E chi lo conosce da vicino sa bene che non è una posa né un atteggiamento studiato; egli era solito negli anni  addietro, anche d'inverno, abbandonare tutto e tutti per salirsene sopra l'irto a passarvi la notte per il semplice gusto di starsene solo e appartato: un atteggiamento che la gente ha sempre attribuito all'eccentricità del personaggio, il quale, con la sua pancia gettante e quasi perenne­ mente scoperta e il suo barbone ispido che da anni ne ha fatto dimenticare i tratti somatici del volto, sembra uscito dalla penna di Emilio Salgari e destinato a vivere da eremita, in luoghi inaccessibili. È difficile isolare in breve i diversi motivi ispiratori delle liriche qui presentate.  Gli affetti familiari, adombrati in alcune di esse; l'ironia e il sarcasmo; il tempo che fugge lasciando solo ricordi per lo più tristi; 1a convinzione che tutta la corsa dell'uomo  sia vana; il culto dell'amicizia; l'amore per la campagna, che si coglie nel ricorso ad alcune situazioni particolari, e nell'uso di termini ed espressioni gergali contadinesche, sono certamente tra i motivi che più facilmente riescono  a  far  vibrare  le  corde  della  fantasia di Giorgio Pisani e, ne sono certo, riusciranno a suscitare interesse nel lettore.  Il quale dovrà fare i conti col vernacolo coriglianese in cui l'A. si esprime e che, a mio modesto giudizio, è ancora quello puro di 25-30 anni or sono quando ancora i mass media non lo avevano neppure minimamente inquinato con l'innesto di vocaboli ed espressioni della lingua italiana. Quando sparisce un dialetto è anche una pagina di storia e di costume che rischia di perdere la sua connotazione particolare e di stemperarsi lentamente nell'oblio. Da tale punto di vista, questa raccolta in vernacolo si configura come una vera e propria operazione culturale da seguire con interesse.  Forse qualcuno rimprovererà a Giorgio di non aver trascritto i termini dialettali con i segni diacritici: una esigenza che gli ho prospettato pure io e che egli ha accolto con un sorriso sulle labbra, quasi un ghigno, dicendomi « anche tu  ti stai guastando;  queste poesie sono state scritte per  i  Coriglianesi  e loro capiranno ».  L'ho guardato e ho capito che insistere era come voler spostare una  montagna.  Questo è l’uomo!  Ingenuo e testardo insieme. Quella risposta, comunque, richiama un   altro dei motivi ispiratori di questa raccolta: l'amore per Corigliano. Cirria, 'A villeggiatura, 'U tressette, 'A vinella, L'Acquanova riconducono sempre, per vie e modi diversi, a usi, tradizioni e luoghi familiari e cari a tutti i Coriglianesi; con pochi tocchi vengono delineati quadretti di vita paesana di sicura presa sul lettore. 'A vinella, per esempio, propone una varietà di tipi e motivi in cui si incarna la coriglianesità più schietta e radicata: solo chi non ha mai vissuto nella vinella e non si ci è mai scirrato, solo chi non ha mai giocato a caticammucci, a scintilli o a ra mazza può rimanere indifferente davanti a queste poesie e può non coglierne il profondo significato e valore sul piano sentimentale oltre che su quello documentario. Ma non è per costui -direbbe Giorgio -che esse sono state scritte, ma per quanti vivono a Corigliano o, lontani, se lo portano ancora nel cuore.  Leggerle sarà per questi ultimi come ritornarci sia pure per poco. È uno dei tanti motivi di interesse di questa raccolta che, ne sono sicuro, avrà il successo che merita.

 

GIORGIO  OTRANTO

 

La prima poesia del libro “’A vinella” che vi propongo ha per titolo ”’I scarpi Sstritte

Aieri ai accattati i scarpi nove

ca m'ai misi 'ccu tanta cuntintizza

camigni cumi si zampassa l'ova

e ci vai girianni i pizzi, pizzi.

Però mi sienti tutt' acciagunatu

camigni cumu fussa 'ntra li spini

camigni zuoppu er'ogni acciampicata

vij li stilli puru ch'è matina.

'U pieri fà ri serchie pirchì sura

e mo mi sienti tuttu ciuncu e affrittu

ah!  malanova  mia  chi  fricatura

ancora ai pagari  e suni sstritte.

 

Crediti