Mia moglie era cittadina rumena di nazionalità ungherese (Ceausescu, tra i tanti difetti o, per qualcuno, “pregi”, riconosceva, almeno, il diritto di nazionalità) e la sua città, in Transilvania, si chiama, in rumeno, Oradea.

Ma quando era ungherese si chiamava NAGY VARAD, cioè “Grande Città”. La mamma era di una cittadina non lontana che si chiama Biharia, prosperoso centro agricolo. Nel 1944 fu “liberata” dai russi che portarono il “nuovo ordine” e la “civiltà” sovietica. Sindaco di Biharia era il nonno di mia moglie, FERENC DARABONT, noto benestante e proprietario terriero, benvoluto e stimato dalla popolazione (tutta e solo ungherese) che, puntualmente, lo aveva eletto e rieletto sindaco, ripetutamente. Sull’onda sovietica si formarono, ad Oradea, i quadri del nuovo regime che aveva fretta di procedere alla sovietizzazione di tutto. E fu la volta di Biharia. Si recarono dal Sindaco i vertici del Partito comunista, provenienti da Oradea e, in un colloquio col sindaco, ordinarono a Darabont di invitare, in un pubblico discorso, i proprietari terrieri a “donare”, volontariamente, la terra allo Stato, dichiarandosi egli stesso subito disponibile alla donazione dei suoi beni terrieri. Si evitavano così lungaggini burocratiche come espropri e requisizioni e complicazioni catastali. Darabont, persona colta e saggia, disse che, personalmente, non aveva nulla in contrario, ma fece osservare che un tale discorso avrebbe suscitato la reazione, non dei “boiari” (in russo boiardi), che erano i proprietari, ma dei contadini, cioè quelli che lavoravano sulle terre dei boiari, con una remunerazione che era in percentuale del raccolto (grano, mais, girasole) che li rendeva pienamente soddisfatti. Se, invece, avessero dovuto diventare soci di Cooperative o essere assunti da Fattorie Collettive, la remunerazione, di cui già si conosceva l’entità, sarebbe stata misera, (da fame). E Darabont avvertì: non mi costringete a questa infamia. Fu così che il capo del PCR (Partito Comunista Rumeno) di Oradea decise di recarsi personalmente nell’importante centro agricolo per parlare al popolo. Davanti al Municipio iniziò a concionare la popolazione.  Ed il popolo, dopo le prime battute, capita l’antifona, aggredì l’oratore, riempiendolo di botte contro cui a nulla valse la scorta dei due miliziani armati. Chi lo salvò? Ma proprio il sindaco che lo fece entrare nel Municipio e suggerì ai miliziani di andare ad aspettarlo, con la macchina, alla parte opposta del paese, ai margini di uno sterminato campo di mais. Il funzionario, tutto pesto, malconcio e sanguinante, fu fatto sgusciare dalla porta posteriore del Municipio e, strisciando nella folta piantagione di granoturco, raggiunse la macchina e si mise in salvo. Figuriamoci se, dopo questo smacco, lasciava correre. Due giorni dopo mandò ad arrestare il Sindaco ed il vice- sindaco accusati di “collaborazionismo” coi nazisti durante l’occupazione tedesca e, specificatamente, di aver fatto delazione ai danni degli ebrei impossessandosi addirittura dei loro beni (oro e gioielli). Ovviamente non era vero nulla e, dopo due giorni, dovettero rilasciarli e riaccompagnarli a Biharia. Ma non poteva finire così. E così non finì, infatti. Scesi dalla macchina, di fronte al Municipio, fatti appena pochi passi, furono fulminati da un colpo di pistola alla nuca. E nessuno si poteva avvicinare. Furono lasciati lì per tutto Il giorno e tutta la notte, perché tutti si rendessero conto della fine che avrebbero fatto i “nemici del popolo”. La figlia di Ferenc Darabont, mamma di mia moglie, appena dodicenne, peraltro già orfana di madre, ed ora di padre, non poté avvicinarsi, e solo da lontano poté’ assistette allo scempio di quei corpi riversi bocconi sul marciapiedi. Dopo di che non si seppe più nulla, per oltre cinquant’anni. Nemmeno dove fossero sepolti quei due infelici. Finalmente, trent’anni fa, venne fuori la verità, per bocca di uno zingaro che rivelò il luogo e le modalità di quella sepoltura. Lui personalmente aveva avuto ordine, dal Capo del Partito di Oradea, di provvedere alla sepoltura dei due corpi, in modo che non ne rimanesse traccia alcuna. Dovevano sparire nel mistero. Ovviamente potevano impossessarsi di tutti gli effetti personali. E lo fecero, così bene, che solo trent’anni fa si seppe la verità. La tecnica era quella classica dei bolscevichi:

-UCCISIONE

-SEPOLTURA IN UN KOLKHOZ

-COPERTURA CON UN LETAMAIO.

E fu la stessa tecnica che, poi, fu usata in Ungheria per far sparire il corpo di IMRE NAGY, colpevole di essersi opposto alla tragica invasione dei carri armati sovietici. Volli presenziare alla cerimonia della riesumazione ed alla successiva, di tumulazione, di quelle salme. Vennero fuori due scheletri con appiccicato ancora qualche panno, senza stivali, senza portafogli, senza orologio e anelli, cose che fecero parte del bottino degli Zingari. Erano ancora visibili i vistosi fori alla nuca. E finalmente quei corpi trovarono pace nelle rispettive tombe di famiglia. Oggi, un cippo sul marciapiedi, ricorda ai passanti dove furono assassinate le due vittime di quella barbarie. Ed ancora oggi, qui, in Italia e, specificatamente, nella mia Corigliano, c’è chi si meraviglia del mio “viscerale” anticomunismo che, secondo alcuni è … ”esagerato”. E poi … è passato tanto tempo. E poi, in fondo, … tutto si dimentica. E poi ….tutto passa. E poi… e poi… e poi… cosa vuoi che sia. E poi un corno.

IO NON DIMENTICO.

MIA MOGLIE NON DIMENTICA.

E qualcuno, forse, finalmente, capirà perché mio figlio si chiama FERENC in ricordo di quel bisnonno.

E FERENC… NON DIMENTICA.

Ma che testardi questi Scura. Ma cosa ci si può aspettare da un così esplosivo Pot-Pourri di calabrese, albanese e ungherese?

Ernesto SCURA

Crediti