Quando ho conosciuto quella che sarebbe diventata mia moglie, ero l’uomo più felice del mondo. E siccome la decisione era avvenuta con calcolato molto ritardo, non avevo ulteriore tempo da perdere.

Decisi, pertanto, di rompere gl’indugi e chiederne la mano al papà, Imre, ungherese che, nel nome e nel cognome, senza parentela alcuna, ripete le generalità dell’infelice capo del governo ungherese, IMRE NAGY, quello che pagò, col capestro, la sua opposizione all’invasione sovietica dall’Ungheria. Ma ora il contesto era tutto diverso. Eravamo in piena Transilvania, regione a maggioranza ungherese ma politicamente rumena. Prima sorpresa: Mi ero illuso che bastava chiedere la mano di Gyöngyi al    papà, Imre. Ma ciò vale per un paese normale. Per un paese comunista, specie quando il capo si chiamava Ceausescu, il matrimonio con “stranieri” era condizionato da una istanza al CONSIGLIO DI STATO, il cui presidente era, e chi se no? lo stesso Ceausescu, oltre ad essere Capo del Governo e Capo di Stato, che doveva concedere l’assenso a quelle nozze, con l’emissione di un ”Decreto”. E non mi chiedete il motivo ispiratore di quella legge. Sarà stato probabilmente il fatto che Ceausescu si considerava padre-padrone dei suoi sudditi. La mano andava chiesta a lui che, potenzialmente, poteva anche non concederla. E lui? Lui ci mise esattamente un anno per decidere. Ma, alla fine, la postina recapitò, proveniente da Bucarest, un grosso plico sigillato a casa di Gyöngyi, con tanto di carta intestata CONSILIUL DE STAT. Il nostro matrimonio era diventato un “affare di Stato”. (Qualcuno dirà: ma non avevano altro a cui pensare?) Comunque esultammo: ”finalmente ci siamo!” Macché. Il plico raccomandato, destinato all’interessata, viaggiava per via postale. Altro plico identico, con copia conforme del Decreto, viaggiava a mezzo corriere speciale (fate conto, quelli che viaggiano con la ventiquattrore contenente segreti di Stato, legata al polso con catenella e chiusura con codice segreto). E qualcuno di buonsenso, ancora una volta, si chiederà: “ma che cosa aveva di così importante ‘sto matrimonio?” Quindi dovemmo far sbollire gli entusiasmi ed aspettare che giungesse anche l’altro plico alla polizia locale, la quale, presa visione di entrambi i documenti, procedeva al “CONFRUNTARE” e, una volta accertata la conformità di entrambi i documenti, dava il “via libera” al Comune per la celebrazione del matrimonio. Quasi da rimpiangere le angherie ed i soprusi messi in atto da don Rodrigo, nei confronti dei poveri Renzo e Lucia che, al confronto, ne escono edulcorati. Finalmente potemmo celebrare il matrimonio civile al cospetto del vice sindaco, un robusto donnone, cinto di fascia tricolore, con vaporosa imponente chioma cotonata, come era d’uso tra le “matrone” della casta comunista, che scandiva con ostentata chiarezza le parole rumene del cerimoniale, consapevole che io conoscevo benissimo quella lingua, ma, più probabilmente, per prendersi una rivincita sulla sposa che, di quella lingua, quasi non capiva una parola. Ma che soddisfazione, costringere una ungherese a doversi sorbire il lungo iter del cerimoniale officiato in lingua rumena. Finalmente, sposi! Sì, però per l’espatrio ci voleva il passaporto. E ci vollero altri due mesi. E non basta. Per ottenere l’autorizzazione all’espatrio definitivo, occorreva ottenere alcune “adeverinze”. Come prima cosa, col matrimonio, la moglie abbandonava il cognome Nagy ed assumeva il cognome Scura. Ma torniamo alle “adeverinze” che erano una specie di liberatorie:

-Certificato della Banca attestante che l’interessata non aveva debiti insoluti;

-Certificato della Biblioteca Civica attestante che l’interessata non aveva libri presi in prestito e non ancora restituiti;

-Certificato del Museo cittadino attestante che l’interessata non era in possesso di opere d’arte di rilevante valore artistico che, comunque, andavano considerate proprietà dello Stato;

-Certificato catastale attestante che l’interessata non era proprietaria di terreni (ma questa sì che è da scompisciarsi, sapendo che in un paese comunista la proprietà della terra era stata abolita da molto tempo), nè di case a lei intestate. Mancava solo “l’adeverinza” del lattaio attestante la puntuale restituzione di tutte le bottiglie del latte. E tutte queste adeverinze andavano chieste a nome di Scura Gyöngyi, che erano le sue nuove generalità, a seguito del matrimonio. Pensate la ridicolaggine a cui si espone un regime quando diventa schiavo della burocrazia. È vero che Scura Gyöngyi non aveva pendenze di alcun genere con gli enti menzionati, ma, vivaddio, questo da dieci giorni a questa parte, cioè dopo l’assunzione del cognome Scura. Ma NAGY GYÖNGYI, per tutto il periodo precedente (anni) potrebbe aver avuto obblighi a non finire. Ma per Ceausescu andava bene così. Ma per i funzionari andava bene così. Importante era che ad ogni presentazione di istanza ci si recasse dall’impiegato con qualche pacchetto di Marlboro (se uomo) ed un paio di saponette (se donna). Quando ci recammo all’ufficio di Polizia per il rilascio del nuovo documento di riconoscimento (Buletin) a nome di SCURA GYÖNGYI, che prendeva il posto di Nagy Gyöngyi, trovammo la porta chiusa. Un avviso diceva: aperto dalle 8,30 alle 12,00. Erano le 11,30. Bussammo. Nessuna risposta. Bussammo di nuovo. Nessuna risposta. Gyöngyi ribussò con una certa violenza. Venne ad aprire un milite con aria seccata e minacciosa.

-Chi ha bussato?

Gyóngyi (con sfrontatezza) : Io! Qui c’è scritto che si riceve fino alle 12  e sono le 11,30.

Ah, sì? Entrate.

Percepii che saremmo andati incontro ad una rappresaglia. Si piazzò al tavolo, dietro una parete di legno e, attraverso un ridicolo sportello intagliato in quel tavolato, con fare minaccioso chiese cosa volevamo.

-Il nuovo Buletin.

Intervenni subito offrendo una sigaretta che lui fu disponibile ad accettare, come per farmi un piacere. Insistetti perché ne prendesse un’altra. E ne sfilò un’altra. Gli dissi di prendere tutto il pacchetto…  ed accettò il pacchetto. Constatai che in un regime comunista le incazzature sono inversamente proporzionali ai regali. E l’indomani il Buletin era pronto. Quando si dice l’efficienza dei paesi comunisti. È come l’efficienza dei morti di fame. E intanto, fuori, lunghe code alla porta dei negozi per rifornirsi dei generi di primissima necessità:

-La coda per il latte

-La coda per il pane

-La coda per l’olio

-La coda per il burro

-La coda per le melanzane

-La coda per la carne no, non l’ho mai vista, perché veniva tutta esportata per un po’ di valuta pregiata.

Però, con qualche amicizia, se andavi allo spaccio della Polizia o allo spaccio dei Sindacati, portavi a casa tutto, anche whiskey, cognac e sigarette americane. Bastava avere qualche “cunostinza”(conoscenza). Quando chiesi ad un amico rumeno, come fa uno che non ha “cunostinze”? mi rispose: MOARE DE FOAME. E non occorre nemmeno tradurre, tanto facile è il senso della frase.

 Ernesto Scura

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