Molti sanno che il più diffuso veicolo d’informazione nell’UNIONE SOVIETICA era il quotidiano PRAVDA (ΠΡΑΒΔΑ), ma molti non sanno che in russo PRAVDA vuol dire, letteralmente, VERITÀ. Cioè, quel giornale, già nella testata, racchiudeva tutta la sacralità della deontologia giornalistica mondiale: “Riportare fedelmente la notizia senza occultamenti o variazioni”.
E quel quotidiano, in URSS era talmente accreditato dallo Stato Sovietico, che aveva anche la funzione di “Gazzette Ufficiale”. Cerco di spiegarmi. In tutti i paesi del mondo, lo Stato provvede a divulgare, in un’apposita pubblicazione, tutte le leggi e i decreti che quello Stato emana (in Italia questo compito è affidato alla molto nota “Gazzetta Ufficiale”). In Unione Sovietica no. Bastava acquistare la PRAVDA e già venivi, “ufficialmente”, informato, sulla legislazione dello Stato, e non solo, venivi anche informato su ciò che avveniva nel mondo e in Unione Sovietica, e venivi anche a sapere dei conflitti nel mondo e di chi erano “i buoni” e chi “i cattivi”, con la credibilità di un organo a cui lo Stato ed il Partito (PCUS) avevano affidato questo compito molto importante, garantito, intanto, dal nome, VERITÀ, e poi dallo sponsor Ufficiale PCUS-STATO SOVIETICO in una simbiosi, tipica dei paesi comunisti, dove l’informazione era affidata ad un PARTITO-STATO. In altre parole, il “Potere” se la cantava e se la suonava a suo uso. E il “popolo”, a cui la si dava “a bere” (la verità), veniva ad essere afflitto di “etilismo cronico” per via di quell’ubriacatura collettiva. Ma torniamo in Italia. II grande regista Carlo Lizzani, giunto ad una rispettabile età, decise di farla finita buttandosi da una finestra. I suoi meritati successi sono dovuti a film eccellenti come "Mussolini ultimo atto", nel quale non fa mai trasparire la sua personale passione politica, limitandosi, il più possibile, a fatti storici non privi di un pathos che fa onore alla sua sensibilità artistica. Però non possiamo, esimerci, dal muovergli un rilievo conturbante. Premettiamo che ci sono due modi, entrambi meschini, di dire una bugia: - uno è dire una bugia. - un altro, è omettere di dire una verità. E, nel “Mussolini ultimo atto” Lizzani ricorre a questa seconda opzione per dire una stratosferica bugia e in quel film, fino a un certo punto era impeccabile, interrompe l’azione senza farci vedere quel che accadde a Piazzale Loreto. Stende un velo pietoso sulle scene più truculente di quella “Macelleria Messicana”, privandoci delle scene spontanee e più realistiche di tutto il film, evitando di attribuire ai partigiani le nefandezze più vergognose della storia, nel pieno rispetto della seconda opzione: dire la bugia “OMETTENDO DI DIRE LA VERITÀ”. E Lizzani ci dimostra di essere un ottimo regista ma anche un ottimo servo dell’ideologia comunista. E tradendo il significativo titolo di “MUSSOLINI ULTIMO ATTO” si limitò al “MUSSOLINI PENULTIMO ATTO” lasciando alla fantasia dello spettatore la ricostruzione di un finale come meglio e più compiacentemente adattabile alla propria fede politica. Ah, Lizzani, Lizzani ! Ci siamo incuriositi e abbiamo cercato qualcosa del primo Lizzani, il giovane regista rampante e ambizioso, organico al Partito Comunista. C’è un documentario propagandistico, del 1949, di cui ignoravo l'esistenza che, di certo, non fa onore al suo Curriculum. Probabilmente sarà stata proprio la rivisitazione di quel documentario, da parte di Lizzani, a indurlo a buttarsi dalla finestra, come aveva già fatto il suo collega e compagno Mario Monicelli. È un caso che i due, uniti dalla passione per il cinema, coniugata ad una ferrea fede comunista, abbiano scelto una così clamorosa uscita di scena? Direi che la comune scelta del gesto estremo derivi invece dalla vergogna per alcuni errori giovanili. Tutti ne abbiamo commessi, chi più chi meno, ma nessuno di noi, come nel caso di Lizzani, li ha commessi per ordine di Togliatti o di Mario Alicata, potente gerarca comunista, che distribuiva gloria e premi e successo a condizione di ubbidire agli ordini del partito. E per un animo sensibile quella nemesi dev'essere stata una irrimediabile condanna. Il PCI, nel 1949, volle un documentario di propaganda, dal titolo “Qualcosa è cambiato nel mezzogiorno”, la cui sceneggiatura era stata scritta dallo stesso Alicata che, tra l’altro, prestò la sua voce al commento parlato delle sequenze, esaltando i toni della miseria delle condizioni della povera gente del Sud, e magnificando i pochissimi provvedimenti che lo Stato aveva adottato, in favore delle masse oppresse, unicamente sulla spinta propulsiva del PCI e dei sindacati comunisti. Ma più che altro additando alcune vergogne che dovevano essere abolite con urgenza, come quelle girate nei “Sassi” di Matera. Vediamone qualche fotogramma.
La scena è girata in una grotta che fungeva, secondo lo sceneggiatore e secondo il regista, di giorno, da laboratorio di falegnameria del capo famiglia, oltre che alle faccende domestiche e, di notte, a dormitorio di quella famiglia numerosa, compreso il maiale che grugniva sotto il letto. Quel maiale sotto il letto, con una zampa nel truogolo, con molta probabilità aspetta il suo turno per montare sul lettone, con i due bambini che cominciano a spogliarsi, mentre il nonno si accinge a salirvi con scarpe inzuppate di piscio e cacca di maiale, e coppola e pipa fumante, e non sappiamo chi altro ancora deve arrivare, che nemmeno nelle più lacrimevoli scene de “Le due Orfanelle” o de “I Miserabili” o di “Oliver Twist. Il contesto scenico, così come “fedelmente” presentato, doveva far pensare ad una normalissima sequenza di vita domestica in un contesto sociale arretrato caratteristico del Sud. Ma solo un idiota o chi ha consegnato il cervello all’ammasso può cascarci. Basta guardare le ombre che si proiettano sulle pareti. Sono nette e ben definite. Altro che spontaneità documentaristica, come si vuol far credere o, tantomeno, occasionalità della scelta. E siccome non siamo coglioni, pretendiamo pensare che in quel contesto dovesse mancare la corrente elettrica, per via della bolletta e l’unica forma di illuminazione essere affidata al tremolante lume ad olio. Qui, invece, il nonno, di ombre ne ha addirittura due (due coppole, due pipe, due nasi eccetera). Conclusioni? È tutta una messinscena realizzata con dovizia di supporti cinematografici: cineprese, potenti lampade alogene, tecnici del suono e delle luci, elettricisti, aiuto regista e...regista comodamente seduto nella poltroncina con la scritta Lizzani. Sappiamo anche che la voce del commento è quella di Mario Alicata. E ti pareva. Altro che NEOREAILISMO. Dall'enfasi declamatoria è perfettamente uguale a quella dei documentari sovietici che però, con scopi chiaramente opposti, decantavano le realizzazioni del paradiso sovietico, in stretta contrapposizione della miserevole realtà italiana da "ladri di biciclette". Ed io, quelle realizzazioni, a suo tempo, le volli verificare in situ. Ebbene, ho trovato tutto, paradossalmente, identico alla miseria descritta da Lizzani e commentata da Alicata che, a ruoli invertiti, attribuivano all’Italia. Quel letto, quelle luride coperte, per non parlare delle lenzuola, almeno quando vi ho dormito io. Il nonno ed i nipotini no, almeno quando vi ho dormito io. Magari al posto della porcella c'era qualcosa di molto più gradevole, forse l'unico diversivo che i vari Ulbricht e Ceausescu consentivano a noi occidentali, e noi, sporchi reazionari e sporchi capitalisti, eravamo l'unico lampo di democrazia, libertà e sogni per quelle anime candide chequel sogno dovettero aspettare diversi lustri prima che si realizzasse. A dispetto di Togliatti, di Alicata e di chi, ancora, si ostina a non voler ammettere. Ma se davvero nei “Sassi” di Matera qualcuno conviveva coi maiali, beh, mettiamoci l'anima in pace. Escludiamo che il fenomeno possa essere causato per colpa di un regime o di retaggi borbonici o arabi. Nella casistica scientifica viene catalogato come COPROFILIA.
ANALOGIE: --Negli stessi anni, nello stesso clima politico e nello stesso contesto geografico, nella mia Corigliano, in una assolata "controra" di un afoso pomeriggio d'Agosto, un inviato de l'Unità, accompagnato da un fedele fotografo, approfittando della scarsissima presenza di occhi indiscreti, realizzava un servizio, nella piazza del centro storico, con aspirazioni dirompenti. Si sa che Agosto è il mese dei cocomeri di cui tutti siamo ghiotti. A Roma dicono: "ce se magna, ce se beve e ce se lava". Sarà per una o per tutte e tre queste ragioni che a Corigliano, come In tutta Italia, questa deliziosa cucurbitacea veniva mangiata a “Piazza del Popolo”(l’Acquanova). A Corigliano, semi e bucce venivano buttati in poco eleganti contenitori in attesa della raccolta da parte degli spazzini. Alla vista di quei rifiuti, ormai in avanzata fermentazione, il giornalista de l'Unità dev'esser stato colto da un raptus per cui, dietro compenso di qualche spicciolo, non ebbe difficoltà a convincere tre o quattro giovanissimi fannulloni a farsi fotografare nell’atto di rosicchiare da quelle bucce improbabili residui di polpa, il tutto immortalato dagli scatti del fotografo che non mancava di evidenziare le mosche. Il servizio, con le sue truculente didascalie, voleva essere una violenta denuncia della fame e della miseria del sud. Però il risultato, almeno a Corigliano, sortì un effetto tutto opposto, direi catastrofico per il PCI. A dispetto della "controra " e della sperata omertà, gli occhi indiscreti ci furono. Infatti, a questo episodio assistette il mio carissimo amico, persona di massimo rispetto che poi, nella vita, laureatosi in matematica, divenne preside dell’Istituto per Geometri. Sto parlando del compianto Peppino Reale che, all’epoca, come molti giovani, qualche simpatia per i comunisti la nutriva. Il giorno dopo, mentre ci raccontava il fatto, che noi ascoltavamo con apprensione e curiosità, lui era talmente nauseato per quella infamia, e talmente arrabbiato, che si capiva benissimo che gli era passata ogni e minima larvata simpatia per la sinistra.
Ernesto Scura