Sono ingegnere, titolare, sin dal 1979, del Laboratorio RESISTEST, in Corigliano-Rossano, per esecuzione di prove sui materiali da costruzione, su autorizzazione del Ministero delle Infrastrutture.
Nel novembre del 2002, alle tre di notte, vengo svegliato dalla telefonata della moglie, allarmantissima, di un ingegnere, tecnico del mio Laboratorio, per avvertirmi che a casa loro c’era la polizia per eseguire un mandato di cattura nei confronti del marito, per reati connessi con “presunte irregolarità” in certificazioni emesse sulle prove eseguite su conglomerati bituminosi, in combutta con l’Impresa che eseguiva i lavori sull’Autostrada Salerno-Reggio Calabria. Dopo mezz’ora squilla il mio citofono di casa. È la Guardia di Finanza che deve provvedere al sequestro del Laboratorio (pensate, sequestro di un’attività dichiarata, per Decreto, Servizio di Pubblica Utilità ! ). Scendo e apro il Laboratorio e gli Uffici. Davanti alla porta vedo il viso sfatto di un altro mio tecnico, in mezzo a due poliziotti che, prelevato e ammanettato, doveva presenziare al sequestro. Lascio tutti e salgo in casa per rimettermi in sesto con le idee. Ed è già tanto che non arrestarono anche me, probabilmente per motivi anagrafici (69 anni). Già telefonare ad un avvocato, alle quattro di notte, mi ripugnava e rinviai alle cinque. Cominciai a sfogliare il corposo volume dei capi accusatori. Il tutto nasceva dalla telefonata di un tecnico dell’impresa che chiedeva le modalità di consegna dei campioni di conglomerato bituminoso. Gli fu spiegato che doveva portare in laboratorio i prelievi, in cassette. Disse che, purtroppo, lui non disponeva di cassette, volendo riferirsi ai contenitori. Al che il tecnico disse che gliela avrebbe fornite lui, potendo utilizzare altre vecchie cassette. L’incaricato della trascrizione delle intercettazioni, confondendo il contenuto con il contenitore, interpretò la proposta come esonero dal portare i campioni perchè “avrebbe provveduto lui con altri sicuramente favorevoli agli interessi dell’impresa”. Dopo l’assoluzione in un processo di primo grado, dopo l’Appello che rinviava in Cassazione, dopo un ulteriore anno, il Processo era di nuovo in Corte d’Appello perchè ritenuto di competenza della Corte d’Appello. E voilà : la Procura (ANTIMAFIA) di Catanzaro, di sua iniziativa, finalmente stanca dei reiterati, e ostinatamente accaniti assalti, chiedeva il ritiro dal processo e la sentenza della Corte d’Appello non poteva essere che di ASSOLUZIONE PERCHÈ IL FATTO NON SUSSISTE”. Cioè non esistevano reati e, ovviamente, nemmeno colpevoli. Però, al processo di 1º grado, in cui peraltro fummo assolti, il PM non aveva esitato a chiedere, nei miei confronti, una condanna a 4 anni e 7 mesi. CONCLUSIONI: Ai TECNICI fu riconosciuto un indennizzo, per ogni giorno di “ingiusta detenzione”, di 235 euro. Per ogni giorno di arresti domiciliari 175 €., Immaginate che ricco banchetto con i fichi secchi ne conseguì. A ME, non avendo sofferto carcerazione, NULLA. Non rimborso spese legali fatturate in 100”000 €. Non il rimborso dei 250.000 euro consumati dalla GESTIONE GIUDIZIARIA, senza ombra alcuna di incassi, per insipienza e incapacità di gestione degli Amministratori Giudiziari. Non MANCATI GUADAGNI per tre anni. Tutta questa BEFFA GIUDIZIARIA è gravata sul mio patrimonio la bella cifra di 500.000 euro. E scusate se è poco. Il PM dell’inchiesta si chiama EUGENIO FACCIOLLA. Anche lui è finito sotto il torchio della magistratura e degli organi supremi del CSM. Non gli auguro le mie pene.
Ernesto SCURA