fonte: www.coriglianocal.it

di Giovanni Scorzafave

In onore a tutti i miei concittadini che hanno combattuto per la Patria.
L'Italia, che si era dichiarata neutrale nel 1914 allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il 24 Maggio del 1915, a seguito del Patto di Londra del 24 aprile 1915, un trattato segreto stipulato dal Capo di Governo Italiano, Antonio Salandra, d'accordo col Re, e la Triplice Intesa, all'insaputa dello stesso Parlamento, entrava in guerra.

Una guerra ingiusta, voluta dalla minoranza del Popolo Italiano. Grandissimo fu il sacrificio e il prezzo che dovettero pagare i nostri concittadini. Qui di seguito, facendo riferimento agli articoli del Popolano, diretto da Francesco Dragosei, detto don Ciccio, e alle mie ricerche, vi racconterò mese per mese, da Giugno 1915 a Novembre 1918, ed anche oltre, le vicissitudini di questa triste guerra. I grafici presenti li ho realizzati per rappresentare in sintesi alcuni dati importanti. (Mi piacerebbe, infine, con la vostra collaborazione, approfondire questi argomenti con documenti originali e foto per un ulteriore omaggio ai nostri gloriosi concittadini. (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)


Giugno 1915
A giugno le prime partenze dei nostri valorosi concittadini. L'entusiasmo delle piazze e le prime lettere dei soldati, appena partiti, fanno pensare ad una guerra che durerà pochi mesi. Invece la guerra sarà lunga, anzi troppo lunga. Così scrive un nostro soldato in viaggio verso il fronte: «...si lavora molto, ma per l’entusiasmo della guerra per la salvezza della Patria non mi sembra nulla»
La cronaca di questi giorni del Popolano

SEMPRE AVANTI
Avanti, sempre avanti, o baldi bersaglieri d'Italia, o prodi garibaldini del mare, al riscatto delle nostre terre che da tanto aspettano e sperano!
Avanti! Da la bocca rotonda del cannone dite all'esacrato nemico:

Le case d’Italia son fatte per noi
e là, sul Danubio, la casa dei tuoi.
Tu i campi ci guasti,
tu il pane c'involi,
i nostri figlioli per noi li vogliamo.

Cantatelo più alto in un inno di fuoco, ora che una sfida ultima e vigliacca che nella stessa esasperazione tradisce la sua vanità, ci lancia «l'angelo dalla forca sempiterna»
Egli, «l'angelicato impiccatore», lordo e grondante ancora del sangue di mille martiri nostri, con una compiacenza malvagia ed inane nella sua malvagità, ricorda l'ora bieca del tradimento: Lissa; l'ora dolente ma sfavillante della sconfitta: Novara e Custoza. E sia ben venuto il triste ricordo se di più santo sdegno infiamma il cuore dei nostri soldati, ed essi riprendono la via segnata da Montebello a Palestro, continuino la gloriosa marcia garibaldina oltre la vietata Bezzecca. E Luigi di Savoia, Augusto e supremo reggitore della nostra marina, saprà ben correre alla rivincita di Lissa, cui l’incita la grande ombra di Alfredo Cappellini, sorta dalle acque infide.
Rispondiamo così al triste imperatore dalla faccia smorta.
Ma la iena esacrata osa accusarci financo di tradimento e ci rinfaccia, per giunta, l'aiuto che ha sempre dato all'Italia.
Bugiardo ed ipocrita! ma perché nascondi le persecuzione che da fedele alleato hai fatto ogni giorno ai nostri fratelli irredenti? perché nascondi la trama che ordisti contro di noi durante la guerra libica? perché nascondi il veto a noi posto di distruggere la flotta turca? perché nascondi la scure clic recise il capo di Guglielmo Oberdan?
Tu nascondi il vero e gioisci sapendo di mentire e ti glorii di date e di fatti che mettono in luce tutta la vergogna e la turpe laidezza della tua persona!
E’ venuta l'ora!
Su, fuori d'Italia per sempre e lontano, oltre il Brennero, oltre le Api Giulie.
Si compia ora la Nemesi storica, il sangue di tanti martiri brulica e fermenta e i cuori inebria di perdizione.
E l'onda rossa sale, sale, sale fino al trono maledetto e lo travolge e l'affoga.
Quel giorno l'ombra di Dante corrucciata finora, canterà dal Quarnero la fausta liberazione.
Non è un buon italiano quello che a sera coricandosi non osa porsi questa domanda: Ho io compiuta oggi un'opera in pro della mia Patria, dell'Idea di Libertà e di giustizia per cui combattono le Nazioni Alleate, in pro dei valorosi che con la forza delle armi sostengono il buon diritto della nostra gente? Ho io compiuta oggi un'opera che direttamente o indirettamente sia stata utile sulle linee del fuoco?

LA GRANDE DIMOSTRAZIONE DEL 1° GIUGNO:
I richiamati partono Al grido di “Viva l’Italia”
Il cuore di Corigliano batte allo unisono con quello di tutte le altre città d'Italia. Mentre la mobilitazione si compie fra l'entusiasmo crescente dell'intera popolazione, le dimostrazioni di giubilo si seguono. Quella del primo giugno fu imponentissirna. Ad essa parteciparono circa sei mila persone di ogni classe e di ogni ceto.
Tutte le case erano imbandierate, tutti i balconi erano parati a festa e da essi le donne lanciavano a piene mani fiori sulla folla.
Fin dal giorno precedente il nostro Direttore sig. Dragosei fece stampare su fogli volanti il seguente inno patriottico che distribuì gratis a migliaia di copie per la città.

Inno di guerra
Su, corriamo, fratelli, corriamo
a dar morie d'Asburgo al tiranno!
Sol col sangue si lava l'inganno
ch'egli tese a l'italico suol.

Va fuori da Trento,
và fuori da Trieste!
Son ferro d'Italia;
và fuori, o stranier.

Alma voce da l'Istria al Trentino
contro l'Austria reclama vendetta:
è l'Italia, gran madre che aspetta
il supremo glorioso suo dì.
Và fuori da Trento ecc.
Su, con tulle le nostre bandiere,
su, col fuoco dlei nostri vulcani,
a distrugger quei lividi cani,
turpe avanzo d'infamia d'orror!
Va fuori da Trento ecc.

«Morte!» gridan, risorti gli eroi
che a l'Italia sacraron la vita,
«morte a l'empio che tiene avvilita
nostra gente non nata a servir!
Va' fuori da Trento ecc.

Vendichiam col pugnalo, o fratelli,
di Trieste il bel martire biondo,
che di libera luce fecondo
il pensiero a l'Italia sacrò.
Và fuori da Trento ecc.

Con le bombe d'Orsini, o fratelli,
vendichiamo gli eroi di Belfiore.
Sacre sono all'Italia quest'ore:
morte, morte al tiranno signor!
Và fuori da Trento ecc.

Garibaldi, tornato, in frontiera
con Vittorio tornato ci aspetta;
su, compiamo la sacra vendetta
per tant'anni nutrita nel cor!
Và fuori da Trento ecc.

Morte, morte a Francesco Giuseppe,
a sua stirpe, agli sgherri devoti!
Maledetto nei dì più remoti
col delitto lor nome sarà!
Va' fuori da Trento ecc.

Verso le nove del 1° giugno tutti gli alunni delle scuole elementari, d'ambo i sessi, sventolanti migliaia di bandierine tricolori, con a capo i rispettivi insegnanti ed il vice Ispettore scolastico, ed aventi in mezzo alle fila la simbolica figura d'Italia coronata d'alloro e con in mano il tricolore vessillo, giunsero nel Palazzo Municipale ove si trovava il Sindaco avv. Fino - con una larga rappresentanza del Consiglio, il gonfalone municipale, ed altra rappresentanza del Tiro a Segno Nazionale. Indi il corteo, preceduto dalla musica cittadina, si mosse tra un delirio d'entusiasmo patriottico.

In Piazza del Popolo
Piazza del Popolo ha un aspetto meraviglioso. Ivi si è raccolta una immane quantità di gente di ogni gradazione sociale, non esclusa la benemerita Società Operaia.
Sono migliaia di bandiere e bandierine che si agitano, e migliaia di voci echeggiano, come un coro formidabile: Viva l'Italia! Viva il Re!
Si ode il suono di una fanfara che si avvicina. È il Convitto Garopoli che sale dalla via Roma accompagnato dall'intero corpo insegnante e dal direttore prof. Leoni. La fanfara, giunta in piazza del Popolo, intuona l'inno di Garibaldi, mentre il nostro direttore Dragosei fa cantare da un coro di oltre cento giovani studenti ed operai l'inno di guerra, e i bambini delle scuole elementari intuonano con le loro voci argentine, l'inno di Mameli. Intanto per il corso Principe Umberto scende il corteo preceduto dalla banda cittadina che suona l’inno di Trieste,musicato dal nostro amico prof. L. Ferrari.
La piazza è gremita di popolo.
Quanti sono i dimostranti? Chi lo sa?
L'avv. Giacomo Fino è il primo ad arringare la folla:
— Anch'io — egli dice — dovrò raggiungere come voi il campo di battaglia e lo raggiungerò con entusiasmo, benché fino a ieri ero contrario alla guerra. Quando sono in ballo i destini della patria è dovere di ogni buon cittadino di prendere le armi e correre contro il nemico. Dopo ciò manda il suo saluto ai partenti, con l'augurio ch'essi tornino con gli allori della vittoria.
Il valoroso avvocato è fatto segno a vivissimi applausi.
Parla dopo l'egregio avvocato Felice De Tommasi, il quale comincia col dire che la primavera è fatale per l'Italia: anche nel '59 la guerra scoppiò nella primavera, e come allora si vinse, si vincerà anche ora, e questa nostra bella Italia, terra di fiori e di luce siederà regina tra le più forti nazioni del mondo. Finisce, augurando ai giovani partenti un ritorno circondato di gloria.
Fragorosi applausi coronarono le ultime parole dell’egregio avvocato.
Lessero pure bellissime parole gli studenti F. Milano e Gerem. Rizzuti del noslro Convitto Garopoli ed il sig. Attilio Alice. Tutti applauditi.
In ultimo sale sul tavolo l’insegnante elementare Tieri Vincenzo, anch'egli soldato e dice: lo non so se in questo momento debba parlarvi in nome del maestro che lascia la Scuola o in nome del soldato che parte per il campo di battaglia. Perché mi sembra che quella del maestro e quella del soldato siano - oggi più che mai - due funzioni integrantisi nell'altissimo scopo della grandezza presente e futura della Patria.
Sento che, se dovessi parlarvi in nome del maestro, non saprei trovare, nella commozione che mi vince, le parole atte a ritrarre interi e inalterati, i sentimenti di gratitudine ineffabile, che io debito a Voi, carissimi colleghi, a Voi, alunni dilettissimi.
Parlo in nome del soldato.
E raccolgo in un fascio i fiori aulenti di patriottismo sbocciati sull’altare della Scuola, nel cuore di questi bimbi d’Italia, che come nel l'inno del Poeta giovinetto
Si chiama Balilla
E raccolgo in un fascio i voti augurali che ogni cittadino, presente ed assente, formula ed esprime; e raccolgo le offerte di giovinezza e di forza e di sangue, che ogni soldato partente fa alla vittoria del sacro nome latino …(applausi e grida di Viva l’Italia!)…
Dopo il discorso del maestro Tieri, vivamente applaudito, l'interminabile corteo si muove.
Lungo la via Roma dai balconi e dalle finestre tutte imbandierate, è una pioggia continua di fiori, confetti e cartellini tricolori con motti patriottici, che signori e signorine gettano a piene mani.
Alla villa Margherita parla ancora il Rev. Preposito De Stefano, il quale, facendo un bellissimo raffronto tra la Patria e la Religione, augura la vittoria della nostra cara Italia e benedice i partenti in nome del buon Dio. Dice poi poche parole di ringraziamento il richiamato Giuseppe Nocito terminando col grido di : viva L’Italia; viva il Re.
Dopo ciò il corteo si avvia alla stazione.

L’arrivo del treno
Il colpo d'occhio che presenta lo spiazzale della stazione è addirittura meraviglioso. Sono migliaia di persone ivi raccolte che attendono l’arrivo del treno.
La folla appare come invasa da un brivido.
Finalmente il treno arriva. Esso è stracarico di richiamati, i quali rispondono ai nostri evviva sventolando i fazzoletti.
La musica intuona l’inno di guerra che viene cantato da cento e cento voci.
È un vero delirio di entusiasmo. E mentre il treno si muove, la musica intuona l'inno reale accolto da frenetici evviva e battimani, mentre i partenti sventolano i fazzoletti dagli sportelli.
E così ebbe termine questa solenne ed indimenticabile manifestazione patriottica che resterà eternamente scolpita nel cuore di ogni coriglianese.

I nostri soldati
Caro cognato,
Ammirando il tuo amor patrio credo manifestarti la mia idea non dissenziente dalla tua. Ora che la fortuna volle ch’io fossi richiamato alle armi per la giusta causa della liberazione e della redenzione delle terre italiane soggette alla barbera teutonica stirpe, voglio dire della decrepita carcassa Austriaca, ti confesso sinceramente che non vedo l’ora di battermi da Italiano qual sono.
Da quando mi trovavo in America, nell’occasione della guerra libica, avevo chiesto la riammissione in servizio, per cooperare col mio braccio ai nuovi trionfi dell’Italia nostra e per le conquiste indispensabili alla grandezza ed espansione economica della Patria. Altri potrebbero credere questo mio dire ciance retoriche, mentre ti confesso sinceramente che tali sentimenti sono insiti nell’animo mio, perché adusato da bambino ai sentimenti di libertà e di giustizia o alla formazione del proprio Io. Per la giusta causa per cui siamo stati chiamati, disprezzo la vita, pur di vedere messa alla gogna ed alla esecrazione del mondo civile la forza bruta degli Imperi centrali. Ci rivedremo? Chi sa! Pur di vincere la Patria nostra preferirei non rivederci. Viva l’Italia, viva l’Esercito Italiano, viva Trento e Trieste.
Aff.mo cognato Francesco 

 

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