... CON LA TESTA
Molti di quelli che mi leggeranno, specialmente i più giovani, stenteranno a credere a ciò che sto per scrivere. Del resto, persino io, e parlo di più di 60 anni fa, stentai a credere vero il racconto di un giovane amico, in fatto di morale, così come veniva intesa, e fraintesa, dalle forze dell’ordine, tra cui militavano gli agenti della “BUONCOSTUME”.
Erano squadre incaricate del rispetto del cosiddetto “comune senso del pudore”, il cui esagerato zelo sfociava, spesso, in episodi di esilarante ridicolaggine. Mi raccontava, quell’amico, di due fidanzatini di Napoli che, su una panchina dei giardini pubblici del lungomare si scambiavano qualche bacetto ed altre innocenti effusioni compatibili col posto e con i … tempi. Ma a rovinare quell’idilliaca atmosfera provvide un agente della “buoncostume” che, intervenendo con furiosa tempestività, contestò loro il “reato” verbalizzando: “i due, incuranti della presenza dei tanti bambini che giocavano lì intorno si “masturbavano” in luogo pubblico. Il caso, per la gravità di come era riportato, finì in giudizio dove i due giovani, più indispettiti che spauriti, subirono un processo. Per fortuna, l’avvocato difensore, che non era un fesso, in premessa, invitò il giudice a chiedere all’agente, cosa intendeva per “masturbarsi”. Il giudice acconsentì e, alla domanda, l’agente non esitò a rispondere: “si baciavano tenendosi strettamente abbracciati”. E il giudice : “ ma le mani dove le tenevano?” . E lui : “intorno al collo e sui fianchi”. Il giudice pose fine, tempestivamente, all’udienza, non prima di aver minacciato l’agente di severi provvedimenti se, in futuro, avesse replicato ancora tali scemenze.. Non passò molto tempo che dovetti constatare, per esperienza diretta, come era facile incorrere in quel …”reato”. Allora, studente di ingegneria, a Trieste, fui invitato, con altri amici, ad una festicciola, a Udine, a casa della mia ragazza. Trascorremmo una bellissima domenica ballando e canticchiando “Volare” “Libero” e “Romantica” i recenti successi canori. Finita la festa, M.R. volle accompagnarmi alla Stazione e, in attesa che si approssimasse l’ora della partenza, ci sedemmo in sala d’attesa, su di una panchina, scambiandoci i soliti bacetti tra innamorati. Ma non avevamo messo in conto la “maledizione” della “panchina galeotta” che, impersonate da un agente della POLFER (Polizia Ferroviaria), scatenò il finimondo suscitando la curiosità di tutti gli astanti, increduli, che in una città come Udine, imbevuta di cultura mitteleuropea, priva di tabù e di intolleranza, un poliziotto potesse interferire sui legittimi sentimenti di due innamorati. Con minacce e imprecazioni ci intimò di seguirlo fino al comando della Polfer, ubicato sul marciapiedi del primo binario. Dovetti faticare a frenare le ire di M.R. che già iniziava ad aggredire verbalmente quell’agente ipocrita e bigotto. Il commissario ascoltò prima l’agente che ci accusava di atti osceni in luogo pubblico, poi la mia versione, in cui evidenziavo che eravamo studenti, reduci da una festicciola e che l’esuberanza goliardica, a volte, viene intesa come trasgressione. E poi, un paio di bacetti, scambiati in pubblico, non sono, nel modo più assoluto “atti osceni”. Ma dove riscossi il massimo della comprensione fu l’accenno alla pur “castigata” minigonna di M.R. che, sì e no, consentiva la vista del ginocchio (erano già gli anni del boom di quell’indumento) e che, probabilmente, poteva suscitare le inquietudini sessuali degli sprovveduti che vedevano il peccato anche nella legittima liberazione da ogni tabù. La decisione del commissario fu drastica ed immediata. Ci chiese scusa e ci congedò con una stretta di mano, complimentandosi con M.R. per l’avvenenza fisica. Per capire da dove prendeva origine quel furore pseudo moralistico che ebbe inizio negli anni 50 e proseguì per tutto gli anni 60, ed oltre, occorre seguire le vicissitudini politiche di Oscar Luigi Scalfaro, al cui oltranzismo cattolico si ispiravano i peggiori provvedimenti della censura, di cui fu un accanito esecutore, a cominciare dagli anni in cui, da sottosegretario alla presidenza, ebbe la delega allo spettacolo. E chi ne soffrì maggiormente? Proprio lo spettacolo, con particolare riguardo al cinema che fu costretto a sopportare i tagli più clamorosi, per alcuni passaggi ritenuti offensivi del “Comune Senso del Pudore” penalizzando, a volte, veri capolavori, con immancabile malcelata stizza di registi, attori e industria cinematografica. E come se non bastasse, non mancava di interferire, con il suo furore di “moralista” in tutto ciò che gli capitava a tiro, che nulla aveva a che fare con la censura cinematografica. È famoso un vergognoso episodio di cui fu protagonista, nel 1950. È il venti luglio e, a Roma, fa un gran caldo. Nel ristorante Chiarina l’allora trentaduenne sottosegretario Scalfaro pranza con due colleghi di partito. A un certo punto si accorge che ad un altro tavolo, insieme con altri due signori, siede una signora che, insofferente all’alta temperatura, si è tolto il bolerino rimanendo con le spalle scoperte. Lui si alza apostrofandola : «è uno schifo, una cosa indegna e abominevole! Lei manca di rispetto al locale ed ai presenti, se è vestita così è una donna poco onesta!», e le intima di rivestirsi. In un delirio di onnipotenza fece, lui, intervenire la polizia. Si finì in questura dove, finalmente, si chiarì che quella donna, oltre a non essere “poco onesta”, era addirittura una nobildonna di specchiata moralità, figlia e moglie di alti ufficiali dell’aeronautica militare. Ne seguì una querela per ingiurie firmata dalla donna che si chiamava Edith Mingoni in Toussan, nonchè una sfida a duello del padre e del marito, a cui Scalfaro si sottrasse adducendo il motivo che la sua fede religiosa gli proibiva atti che causavano la morte (dimenticava però che, nel 1945, da p.m. in un processo ad un fascista, aveva chiesta la PENA DI MORTE). L’episodio provocò la reazione di un altro nobile, il principe Antonio De Curtis, in arte TOTÒ, che gli notificò il suo sdegno, in difesa della nobildonna, e non mancò, anche lui, di sfidarlo a duello. Le stravaganze del personaggio furono trasferite dal grande regista Federico Fellini, nel ruolo interpretato da Peppino De Filippo, nel. film Boccaccio 70, dove LE TENTAZIONI DEL DOTTOR ANTONIO, richiamano, in modo eloquente le ridicole pulsioni pseudomoralistiche. Del personaggio è famosa la venerazione per la Madonna, a cui dedicò un opuscolo di preghiere destinato alle suore delle Clarisse, in cui la chiama : «mia bellissima, dolce, la Padrona, la Splendidissima, la madre del bell'Amore, la castellana d'Italia, la Corredentrice, l'Ancilla». Perciò fu Infilzato dai nomignoli di «Ostia» Luigi Scalfaro e di «Oscar Maria Goretti»
Ernesto SCURA