(Pubblicato in estratto sul quotidiano “il Giornale del 31 05 2020)
Nicolino Elmo, mio carissimo cugino, arbëresh come me, è per me il protagonista prediletto di un lungo capitolo di storia che comincia quando, bambino,lo vidi partire per la guerra, con destinazione Libia.
Non mancava di scrivere ai miei,del suo entusiasmo per i compiti che gli affidavano nell’esercito,alla guida di autocarri con ampia facoltà di manovra e ampia disponibilità di carburante, quel bene diventato,da noi,ormai prezioso ed introvabile. Dopo la battaglia di Tobruch, un lungo silenzio. Ci volle più di un anno perchè ricevessimo sue notizie, con un biglietto postale SERVICE OF PRISONERS OF WAR,di colore giallo paglierino,proveniente dall’India, a cui seguirono altri.
Ci volle la fine del conflitto ed il rimpatrio, dopo ben sei anni,nel 1946, perchè potessi riabbracciarlo e farmi dare,finalmente, i francobolli per la mia collezione di cui non mancavo di fare. richiesta,nella frequente corrispondenza con lui intrattenuta che,dopo,compresi quanto fosse gradita nella noia della prigionia, perchè gli portava una ventata di notizie dell’Italia lontana. Fui presente a casa sua quando,subito dopo l’arrivo,con meticolosità tutta certosina,si accinse a sciogliere i lacci di rinforzo che legavano la valigia e due pacchi avvolti in carta da imballaggio,recuperando e riavvolgendo quei lacci,e quella carta. Operazioni che oggi sembrano inconcepibili ma che,allora,erano indice di sana economia e riutilizzo di tutto ciò che scarseggiava. Altri tempi. E,sembrerà un controsenso, già da un anno, in Italia non c’era più la tessera per il pane, laddove in Inghilterra, uscita vincitrice dall’ ultimo conflitto,il razionamento durò addirittura fino al 1954,a dimostrare che le capacità di ripresa economica dell’Italia furono di gran lunga superiori. Quando, ormai adulto, avevo occasione di intrattenermi con lui, non mancavo di fargli domande su quella prigionia a Bombay. E lui non si stancava di raccontarmi. Incominciando sin dall’inizio della prigionia, quando, laceri e con barbe incolte, gli inglesi, dopo una lunga marcia in Egitto, li condussero a Port Said dove, finalmente, capirono che li avrebbero fatti imbarcare con destinazione India. E ricordava che sfilarono appiedati in quella città egiziana,tra due ali di folla di civili assiepati sui due marciapiedi contrapposti. Da quella più numerosa grida di incoraggiamento e di sostegno per quei soldati che avevano combattuto con onore, mentre, dall’altro marciapiedi, una folla meno numerosa, di filo inglesi, urla di disprezzo e di umiliazione per quegli italiani. E con una malcelata riconoscenza non mancava di parlare di un ragazzo, figlio di civili italiani residenti da tempo in Egitto che, in bicicletta, affiancava la lunga fila di prigionieri, ripetendo: coraggio ragazzi, nulla è perduto, vinceremo, vinceremo ! E poi la vita nel campo di prigionia,e delle iniziali privazioni prima del fatidico comunicato di Badoglio, che riuscirono a captare con una incredibilmente allestita radio “galena” realizzata da alcuni ingegnosi commilitoni, con parti metalliche ricavate da gavette e posate e chissà cos’altro ancora,barattato con civili indiani e inglesi che ronzavano ai margini del recinto del campo. Dopo l’otto settembre le cose cambiarono radicalmente e riuscì ad accattivarsi la fiducia di un sergente inglese che,gradualmente,presa conoscenza dell’indole mite di Nicolino, fu incline a proteggerlo e a dargli suggerimenti sui comportamenti più opportuni, fino ad affidargli incarichi di fiducia, compreso l’assegnazione di un autocarro con la responsabilità di trasporti a lungo raggio, arrivando fino ai piedi della catena montuosa dell’Himalaya. Per non parlare della facoltà di poter circolare in città e di poter allacciare anche rapporti con ragazze. Furono preziosi anche i consigli che quel sergente gli dava sui rapporti con le donne da frequentare e quelle da evitare. E non mancava di raccontare delle “vacche sacre”, che circolavano indisturbate per le strade di Bombay,seminando un po’ dappertutto i loro escrementi,anche questi,ovviamente,”sacri”. E della disinvoltura con cui si cremavano i cadaveri e del residuo delle ceneri (ceneri? ma va’,spesso resti incombusti) sparse nelle acque del “Sacro Gange” nelle cui acque si immergevano e delle quali,forse,non sdegnavano di...dissetarsi. E dell’altro modo di smaltire i cadaveri che, per una delle quattro religioni principali del paese,consiste nel deporli in cima ad una torre altissima dove,poi,ci penseranno i sempre più voraci avvoltoi a ripulirli delle carni, fino allo spolpamento completo. A pensarci bene,avrebbe mai immaginato ,Nicolino, senza i patimenti di una guerra, di vivere tante avventure ? Certo non tutti i mali vengono per nuocere, e Nicolino arrivò persino ad imparare un po’ di inglese. Per non parlare di come riuscì a forgiare il suo fisico ed il suo morale.
Nicolino ha da poco compiuto i suoi bravi cento anni. Altri cento,Nicolino ! E...alla larga dagli avvoltoi.
Ernesto SCURA