Sabato 13 gennaio a partire dalle ore 18 il Centro Studi Igino Giordani organizza presso la sala riunioni del Beato Felton un incontro nell'ambito dell'iniziativa "Percorsi di storia del '900" dedicato a "Riccardo Misasi tra storia e memoria".

Saranno presenti, tra gli altri, padre Giovanni Cozzolino dell'Ordine dei Minimi, prof. Franco Pistoia del Centro Igino Giordani, Maurizio Misasi della Fondazione Riccardo Misasi e l'on. Pietro Rende che terrà una relazione sull'argomento al centro dell'incontro. Riccardo Misasi, politico calabrese, è morto il 21 settembre del 2000 a Roma. Sulla figura di Riccardo Misasi il giornalista e saggista, Sebastiamo Messina, dalle colonne del quotidiano "La Repubblica" il 22 settembre 2000 pubblicò l'articolo che qui di seguito riportiamo integralmente, riteniamo che Messina attraverso questo scritto sia riuscito a tratteggiare in maniera abbastanza puntuale la figura di Misasi: "

Le strategie a Roma il potere in Calabria

ROMA - Il vero segreto di Riccardo Misasi era quello di essere l' esatto contrario di ciò che appariva. Imprigionata in un corpo pesante, nascosta da uno sguardo pacioso, imbrigliata nelle movenze lente di un notabile di paese, si muoveva una delle intelligenze più acute di quella che fu la Democrazia Cristiana. Ci dev' essere stata una ragione, se dalla prigione brigatista Aldo Moro delegò proprio a lui il compito di convocare un Consiglio nazionale straordinario della Dc. Ci dev' essere stata una ragione, se questo calabrese di ferro è stato uno degli uomini più potenti e temuti del partito, chiamato di volta in volta "il gran visir", "il vicario", "il viceré" o "il grande cuciniere". Certo, era un' intelligenza custodita nell' armatura di un uomo abituato ad assaporare fino in fondo la dolcezza del potere, che però in Calabria acquista la sapidità prepotente del peperoncino piccante. Un politico di lungo corso che a Roma era un raffinato stratega e a Cosenza un generoso dispensatore di posti, trasferimenti, grazie, promozioni, esoneri e - soprattutto - speranze. A un giornalista che gli chiedeva se nella sua vita politica aveva commesso peccati, Misasi non rispose né sì né no: "Sono fatto di fango, e come gli uomini che hanno un' ispirazione religiosa, lotto con quello che Sant' Agostino chiamava "il mio vestito di carne"". Figlio di un avvocato galantuomo di San Nicola in Arcella, Riccardo Misasi era un ragazzo al quale la provincia stava stretta. Quando si diplomò, con un anno di anticipo, al liceo classico Bernardino Telesio, aveva già letto quasi tutto Croce. E l' anno dopo, al collegio Augustinianum di Milano con Ciriaco De Mita e Gerardo Bianco, ogni tanto li stupiva citando a memoria don Benedetto. Tutti e tre venivano dal Sud, e si ritrovavano a masticare diritto e politica. Ma fu soprattutto tra l' irpino Ciriaco e il cosentino Riccardo che nacque e si sviluppò un sodalizio umano prima ancora che politico, un' amicizia fondata sulla complementarietà di due uomini così diversi tra loro, un legame destinato a segnare i destini di entrambi. Fu infatti l' amico De Mita a chiedergli, dopo il ritorno in Calabria, di fare il salto verso la politica. E lui accettò. Prima leader del movimento giovanile, poi consigliere comunale, quindi - a 26 anni - deputato al Parlamento. Non fu una strada in discesa: il giovane Misasi dovette sbaragliare il vecchio gruppo dirigente democristiano, quello che aveva il suo regno nella Cassa di risparmio calabrese e il suo monarca in Florindo Antoniozzi. Ma una volta a Roma, non lo fermò nessuno. Sottosegretario alla Giustizia, ministro del Commercio con l' estero, ministro della Pubblica Istruzione, Misasi saliva velocemente le scale della nomenklatura, ma era inseguito dal suo dualismo: a Roma discuteva della riforma della scuola, a Cosenza prometteva pane e lavoro. I suoi avversari - che oggi lo lodano - gli rinfacciavano allora tutti quei nomi di cosentini, reggini e catanzaresi tra i bidelli assunti per chiamata diretta. La sua stagione d' oro, la visse nel settennato dell' amico Ciriaco a Piazza del Gesù. "De Mita regna, Misasi governa", sussurravano i peones dc. E lui, con la sigaretta sempre accesa, passava le giornate curvo sulla scrivania a stendere progetti e a compilare organigrammi, capo dell' "ufficio nomine" della Dc e poi sottosegretario alla Presidenza col governo De Mita. Nel partito i rivali lo temevano, rispettandolo: "E' l' unico insonne in un partito dormiente, simile al Minosse dantesco che "giudica e manda secondo chi avvinghia"" diceva di lui Sandro Fontana. Poi quella stagione finì. E cominciò per Misasi un tramonto amaro. Tornò ministro, e si dimise disciplinatamente contro la legge Mammì. Accettò persino di guidare - ufficialmente, visto che senza pennacchi l' aveva sempre fatto - la Dc calabrese. E si ritrovò - senza capire perché - schiacciato dalle ombre del delitto Ligato, inseguito da una richiesta di arresto per associazione a delinquere di stampo mafioso, salvato in extremis dal voto quasi unanime della Camera. Lui che si era illuso di disegnare il Nuovo, si sentiva tirare giù, nelle sabbie mobili del Vecchio. "Non mi amareggia finirla, mi amareggia finirla male" confessò l' ultima volta che mise piede a Montecitorio. Poi, con la dignità che un viceré deve mostrare quando se ne va, si nascose dietro una vetrata. E pianse.

di SEBASTIANO MESSINA tratto da "La Repubblica del 22.09.2000

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