Ergastolo e sei mesi di isolamento diurno per Topo e Panzetta. Questa la decisione della Corte dopo due ore di Camera di consiglio. La richiesta della Distrettuale si era fermata ad un mese di isolamento diurno, ma la condanna è più severa aumentando di ben 5 mesi l’isolamento diurno per Cosimo e Faustino.
Interdizione perpetua dai pubblici uffici e legale della potestà genitoriale. Condannati anche al risarcimento della parte civile. Il collegio difensivo (rappresentato dagli avvocati Ettore Zagarese, Vittorio Franco e Mauro Cordasco) non si è risparmiato in un’arringa che non ha lasciato spazio a nessun “punto di non ritorno”. Una ricostruzione dell’intera vicenda, del processo, delle carte, di ogni teste e collaboratore di giustizia che è “transitato” dall’aula uno del Tribunale di Cosenza. Il processo prende il via nel 2016; unici imputati del triplice omicidio, Cosimo Donato detto Topo e Faustino Campilongo detto Panzetta, all’epoca dei fatti rispettivamente di 38 e 39 anni. Entrambi accusati di triplice omicidio. Secondo le accuse mosse dalla Distrettuale i due che spacciavano per Iannicelli, lo avrebbero attirato in una trappola per ucciderlo. Iannicelli era divenuto un personaggio scomodo per la cosca Abbruzzese. Iannicelli sarebbe, dunque, andato in giro con il nipote utilizzandolo come “scudo umano” così da dissuadere la mano criminale pronta a fare fuoco per eliminarlo. Eppure non riuscì neanche il piccolo Cocò a fermare gli assassini: dopo il triplice omicidio bruciarono i corpi all’interno della macchina di Iannicelli. Ma l’omicidio di un bambino e di chi lo accompagnava, non ha lasciato indifferenti la giuria popolare, la Corte tutta, che ha vagliato ogni singola parola, riscontro, dichiarazione. Un processo lungo che oggi termina in primo grado con una condanna pesante ma forse già scritta sin dall’inizio. Nel triplice omicidio di Cassano allo Jonio morirono Giuseppe Iannicelli, il nipote di appena due anni, Cocò e la compagna di Iannicelli, la marocchina 26enne Ibtissam Touss. I tre cadaveri furono ritrovati carbonizzati nei pressi di un casolare abbandonato in agro di Cassano il 19 gennaio del 2014 . Lo scorso 14 gennaio il Procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro Vincenzo Luberto (che all’epoca coordinò tutta l’attività investigativa), ha terminato la requisitoria con la richiesta di ergastolo e un mese di isolamento diurno. A fine udienza Campilongo ha replicato in videoconferenza “Sono innocente. Prego padre Pio tutti i giorni perchè sia fatta verità”. Si rivolge alla Corte presieduta dal giudice Garofalo, a latere De Vuono, dichiarando che avrebbe querelato gli avvocati e il pubblico ministero perchè lui non avrebbe ucciso nessuno, non avrebbe mai dichiarato di avere ucciso qualcuno. Termina la dichiarazione spontanea dal carcere in cui è detenuto affermando di pregare perchè la verità venga fuori. Dirà Luberto durante la requisitoria “L’omicidio di Iannicelli è determinato dalla violazione delle norme dello spaccio. Oggi chiederemo degli ergastoli non sulla scorta di requisizioni traballanti. Iannicelli è un trafficante di sostanze stupefacenti che ha educato la sua famiglia allo spaccio; ha monopolizzato il termine di offerta ai pusher sul territorio di Cassano. Dal 4 maggio 2005 al 31 maggio 2012 fu detenuto in carcere per 7 anni per questioni di droga. La famiglia è in gabbia perché condannata in merito al procedimento Tzunami perché partecipi in associazione di narcotrafficanti: sono la figlia Antonia e la moglie Simona, il papà del piccolo Cocò, tutti condannati. Così com’è stato condannato il nonno, altro parente e la figura centrale di Antonio Iannicelli ritenuto organico alla cosca Perciaccante Pasquale 10 settembre 2007 condanna all’ergastolo nel processo Lauro. Cerchiamo di determinare la figura di Giuseppe Iannicelli e l’astio che regnava attorno a se da una serie di dichiarazioni (Perciaccante Pasquale collaboratore di giustizia dal 2017) condannato all’ergastolo nell’ambito del processo Lauto. Non è uno zingaro, ma è stato portato negli zingari perché ha sposato la sorella di Giuseppe Iannicelli. Ci dice cose importanti di Giuseppe Iannicelli: “era stato battezzato “a trucco” da Dentuzzo ossia Francesco Abbruzzese ( classe ’70 in carcere per due ergastoli riconosciuto capo consorteria degli Zingari, in carcere per due ergastoli). Iannicelli pretendeva, agognava, desiderava, incalzava Dentuzzo perchè fosse battezzato. E Dentuzzo lo ha battezzato come dice Perciaccante “a trucco” come una messinscena per accontentarlo in una cerimonia officiata esclusivamente da Dentuzzo nell’ambito della quale gli veniva combinato il grado di sgarrista che è terzo ed è un ruolo importante perchè può essere a capo di una ‘ndrina e compone il consiglio di amministrazione “locale”. Perciaccante dichiara che Dentuzzo ha una grande disistima nei confronti di Iannicelli che accusava di avere una sorta di contigiità con le forze dell’ordine, probabilmente informava di qualcosa in quanto si crea spesso un abbraccio diabolico tra ‘ndranghetisti piccoli spacciatori e forze dell’ordine. In molti degli arresti posti in essere in Cassano, in danno a piccoli spacciatori si pensava che fosse per l’azione di Iannicelli. Questo è un primo sospetto che Dentuzzo aveva nei confronti di Iannicelli e che spiega perchè fosse stato battezzato così, con una messinscena. Per quanto racconta Perciaccante i Forastefano quando avevano iniziato ad ammazzare gli zingari hanno iniziato a rifornire di stupefacente lo stesso Iannicelli. Quest’ultimo aveva tradito la linea zingara rifornendosi di stupefacenti, che spacciava ovviamente, per il tramite di Antonio Forastefano. E questa è una cosa che gli Abbruzzese non gli avrebbero mai perdonato. Nel 2004 allorchè molti degli zingari erano in carcere a Catanzaro, in quanto soffrivano la custodia cautelare, si era saputo che nel corso del processo in cui Iannicelli era stato condannato, quest’ultimo aveva detto che talune armi che gli erano state sequestrate le aveva ricevute da Fioravante Abbruzzese (morto il 3 ottobre 2002). Iannicelli lo dichiara ” a cuor leggero” avendo accusato una persona deceduta. Ma gli zingari si arrabbiano comunque in quanto l’accusa mossa nei confronti del loro consanguineo deceduto era un’accusa mossa nei confronti dell’intero gruppo che evidentemente significava che gli zingari detenevano armi. Perciaccante racconta che vi era stata la decisione fin dall’epoca di ammazzare Giuseppe Iannicelli addirittura il nipote Antonio Iannicelli detto “il cacciatore”, colui il quale viene condannato con tutta la famiglia, si sarebbe preso la responsabilità, una volta scarcerato, di uccidere, probabilmente, Giuseppe Iannicelli. Perciaccante è un uomo libero sebbene collaboratore di giustizia. E’ legato con la famiglia Iannicelli tra cui Battista, fratello di Giuseppe. Perciaccante con Battista ha una telefonata epistolare in cui il fratello di Giuseppe gli racconta che nell’ultimo periodo i contrasti che intercorrevano con gli zingari si erano di nuovo acuiti. Giuseppe in continuazione veniva convocato a Timpone Rosso, a cospetto di Luigi Abbruzzese, Solimanno Filippo, capi della consorteria e liberi in quel periodo e siamo tra il 2010 e il 2014 che gli contestano una serie di mancanze. Uno dei primi motivi di recriminazione degli zingari nei confronti di Iannicelli era che, una volta divenuto capo della sibaritide Antonio Forastefano, rivolto a quest’ultimo per rifornirsi di stupefacente. Una volta uccisi Fioravante Abbruzzese e Pepe Eduardo nel 2002, Iannicelli capisce che il vento è cambiato e si rivolge ai Forastefano tradendo i suoi vecchi compagni di stupefacente, gli Abbruzzese Il racconto di di Forastefano Antonio è confermato da Falbo Domenico che ha avuto un periodo di comune detenzione con un collaboratore che racconta fatti di ‘ndrangheta alla Procura di Torino che dichiara in una precedente detenzione avrebbe avuto la confessione stragiudiziale di Panzetta di avere ammazzato il bambino e quindi Giuseppe Iannicelli, per essere ammesso alla ‘ndrangheta. L’ha dovuto fare per essere affiliato al clan Abbruzzese. Ma quest’ultimo convocato dice di non avere parlato mai con “Panzetta” ma solo con Falbo e siccome nelle carceri sentiva urlare dagli agenti di polizia penitenziaria di Campilongo Faustino, ha detto semplicemente a Falbo che è stato nello stesso carcere con Campilongo. Ma dice anche “io sono un uomo dei Nirta omonimo “locale” reggino che sovrintende tutti i locali e sulla scorta dei vecchi rapporti criminali Nirta racconta che aveva saputo in ambito criminale che Panzetta era l’autore dell’omicidio del bambino e che aveva dovuto farlo per essere cooptato dalla famiglia degli Abbruzzese.