Questa mattina a Corigliano Calabro è stata portata a termine una vasta operazione dei Carabinieri del Comando provinciale di Cosenza i quali, coadiuvati da unità del Nucleo Cinofili dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Vibo Valentia, hanno eseguito quattordici misure applicative della custodia cautelare in carcere, degli arresti domiciliari e dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, emesse dal gip del Tribunale di Castrovillari, su richiesta della Procura della Repubblica, coordinata dal procuratore capo Eugenio Facciolla.
I reati contestati sono quelli di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di estorsioni, rapine e ricettazione, ma tra le contestazioni c'è anche il danneggiamento seguito da incendio ai danni dell’autovettura di un carabiniere della Compagnia di Corigliano Calabro. Contestualmente sono state eseguite diverse perquisizioni domiciliari nei confronti di altri indagati, destinatari di avviso di conclusione delle indagini preliminari per il reato di associazione per delinquere finalizzata ai furti. L’organizzazione criminale tra la Corigliano “Vecchia” e la Corigliano “Scalo” agiva seguendo degli schemi precisi: se uno dei comandi impartiti dai vertici della città vecchia non veniva rispettato o si violavano le norme criminali si finiva tutti davanti al tribunale. Presidente del collegio è Filippo Solimando, persona coinvolta in più procedimenti giudiziari tra i quali l'operazione “Galassia”, che con a latere altri due “giudici” sempre del suo gruppo emanava sentenza di natura fisica causando delle lesioni personali o altri tipi di danni. Quattordici sono state le misure cautelari emesse al termine dell’operazione “Tribunale” (qui la notizia) condotta dalla procura di Castrovillari coordinata da Eugenio Facciolla. Carcere per: Filippo Solimando, Natale Gencarelli, Giovanni Arturi, Luigi Sabino, Giuseppe Sammarco, Giuseppe De Patto. Agli arresti domiciliari sono invece finiti: Davide Lagano, Vincenzo Sabino, Antonio Palummo, Pasquale Semeraro. Per Giuseppe Taranto e Pierluigi Filadoro invece è stato disposto l’obbligo di firma davanti agli organi di polizia giudiziaria. Nel corso della conferenza stampa tenutasi questa mattina presso il Comando provinciale dei Carabinieri, il procuratore capo Facciolla nel delineare l’intera organizzazione delle indagini specifica fin da subito due quadri: il primo quello geografico del controllo del territorio di Corigliano, il secondo quello temporale. Nonostante i fatti siano riferibili agli anni che vanno dal 2013 al 2015, ancora oggi, all’esito delle indagini, ne sono tangibili gli effetti sul territorio.
«All’esito dell’udienza del tribunale di cui Solimando era presidente – spiega Facciolla - venivano eseguite delle vere e proprie sentenze punitive. I toni delle richieste erano anche molto cruenti, se qualcuno della banda dello Scalo rubava, gli si ammaccavano le mani». Una vera e propria legge del taglione quella imposta dalla banda di Corigliano “Vecchia” che si concentrava anche su tutta una serie di attività illecite come delitti contro il patrimonio rapine ed estorsioni al fine di controllare l’intero territorio. Controllo che, come riferito anche dal titolare dell’indagine, il pm Iannotta, andava a colpire anche eventuali attività illecite condotte dai criminali; insomma, non si doveva sconfinare. Le due bande criminali, l’egemonia territoriale, l’hanno rivendicata anche nei confronti delle forze dell’ordine. «Il fatto delittuoso ai danni di un nostro collega – spiega Piero Sutera, comandante provinciale dei carabinieri di Cosenza - è stato un campanello d’allarme fortissimo. È emerso nel corso delle indagini come il controllo del territorio e l’imposizione delle estorsioni avvenisse attraverso quelli che sono le attività di guardiania». Una giustizia parallela così come la sicurezza. Le vittime delle estorsioni, spiegano i vertici dei carabinieri sul territorio di Corigliano, erano soprattutto imprenditori. Uno di loro pagava fin dal 2005 e non aveva mai denunciato. Colpiti anche gli imprenditori agricoli. Non venivano risparmiati dalle rapine gli anziani. «Inizia a mutilarlo, una martellata nelle mani… proprio ferma… proprio in quella maniera “Ta”! (simula il rumore della martellata ndr)… a schiacciare la mano, vediamo se va a rubare ancora… sei andato là… e inizi a schiacciarli…e risolve il problema… “non dimenticartelo però, che la prossima volta te la taglio la mano”…punto». È questo il tono di una delle tante intercettazioni effettuate dai carabinieri del Nucleo operativo di Corigliano nell'ambito dell'inchiesta “Tribunale”. A parlare sono gli uomini che commentano la gestione dei problemi della cittadina ionica. Si palesa la necessità di un più incisivo controllo del territorio da parte del consorzio criminale. Estorsioni, rapine, quote da pagare con cadenza annuale per poter esercitare liberamente la propria impresa. Tutto questo è contenuto nelle carte dell’operazione condotta dalla procura di Castrovillari nell'ambito della quale, nonostante il periodo oggetto di indagine sia di qualche anno fa, sono state disposte sei misure cautelari in carcere, quattro ai domiciliari e due con obbligo di firma alla polizia giudiziaria. Se Filippo Solimano, re di Spagna, venne chiamato il “Legislatore” data la sua intuizione nello scrivere di legge, lo stesso potrebbe dirsi di Filippo Solimando di Corigliano Calabro. A differenza del quasi omonimo spagnolo però per il coriglianese ad emergere sarebbero anche le attitudini giudicanti. Nelle carte dell’inchiesta la sua figura è delineata come quella di colui che avrebbe avuto il compito di aver «organizzato, promosso e diretto l’associazione a delinquere, impartendo direttive ed assumendo le decisione in ordine alle attività da compiere per avere il controllo nel territorio del comune di Corigliano Calabro». Le regole da non tradire sono quelle del gruppo che controlla Corigliano “Vecchia” (o paese, ndr) e a non sgarrare devono essere soprattutto quelli dello “Scalo”, cosa che però succede – secondo gli inquirenti – quando viene messa a segno una rapina nell’abitazione di un parente di Solimando. Ad aiutare il “giudice” ci sono anche Giovanni Arturi, Natale Gencarelli, Luigi Sabino e Vincenzo Sabino. Oltre a questo, nell’ordinanza si specifica come per loro il compito fosse anche quello di dirigere la guardiania imposta a fini estorsivi. Per Giuseppe Sammarco l’attività designata è quella di «risolvere i problemi legati alla commissione di delitti contro il patrimonio non preventivamente autorizzati». Franco La Via e Antonio Palummo si occupavano di estorsioni di piccola rilevanza, il resto della banda invece delle rapine. «Bussavano alla mia porta, ho aperto e tre ragazzi hanno iniziato a picchiarmi. Due mi hanno bloccato e un terzo mi tirava dei fendenti. Nel mentre mi accoltellavano non proferivano parola e facevano tutto in fretta». La denuncia fatta da Loris Schiavelli è meticolosamente appuntata dai carabinieri. Il ragazzo, a pochi giorni da un altro pestaggio, riceve a casa la visita di tre uomini che identifica in Giuseppe De Patto, Alfonso Scarcella e Davide Lagano. «Appena è arrivata la mia matrigna – continua la denuncia – mi ha portato con la sua macchina in ospedale». L’uomo racconta ai militari della stazione di Corigliano che le botte sarebbero state la conseguenza di una rapina fatta insieme ad altri suoi tra amici nell’abitazione di un parente di Filippo Solimando. Nel corso della conferenza stampa sia il procuratore Facciolla che il titolare dell’indagine Iannotta hanno riferito come l’attenzione per l’economia del paese da parte dei criminali fosse riferibile anche a piccoli agricoltori. Dal quadro indiziario emergerebbe che nel corso degli anni gli imprenditori che si rifiutarono di stare alle regole venissero “processati” dal grand jury di Corigliano. Non c’erano mezzi termini o alternative. Riportano gli inquirenti come, su ordine di Solimando ,Antonio Palummo e Giuseppe Sammarro si recarono ad un impianto di rifornimento energetico dicendo al proprietario: «So che hai appaltato lavori in provincia di Firenze, noi abbiamo una ditta di Prato che da tempo non riesce a lavorare, vedi se gli puoi dare una mano così lavori tranquillo pure tu». Atteggiamenti simili sarebbero stati riservati anche a chi vinceva gli appalti in città. Tra i capi di imputazione sono riportati gli atteggiamenti nei confronti della società che si aggiudicò i lavori di rifunzionalizzazione del castello di Corigliano. Salgono e scendono gli scooter dallo storico castello, viene riferito ai dipendenti che se «il titolare non si fosse fatto trovare nel giorno stabilito i lavori potevano ritenersi conclusi». Non mancavano i casi in cui la quota da estorcere fosse inferiore anche ai 500 euro. Alcune delle azioni delittuose perpetrate dall'organizzazione, sono state illustrate questa mattina nel corso della conferenza stampa dagli inquirenti. Qui di seguito ve ne illustriamo alcune di queste.
Tutto inizia dal danneggiamento della macchina di un carabiniere dell’aliquota radiomobile che da tempo monitoravano la banda dello scalo. “L’11 aprile 2013 una pattuglia viene inviata in una via della città, in cui era stato segnalato un incendio. Giunti sul posto uno dei componenti della pattuglia constatava che l’incendio era divampato all’interno del cortile della propria abitazione e che la propria vettura alfa romeo 159 era in fiamme”. Le punizioni, il Tribunale e la denuncia di Giuranna del 14 marzo del 2014. “Circa 4 anni fa si presentò a casa di mio padre “A vozza” il quale ha detto a papà di stare attento per me e mio fratello, dicendo che non dovevamo combinare guai altrimenti ci avrebbero bruciato tutto, compreso la macchina e la nostra abitazione e tagliato i giardini perché eravamo sospettati di essere autori di numerosi furti. E’ stato ordinato che sia io che mio fratello non dovevamo spostarci da nessuna parte, neanche a Spezzano albanese perché quello è il suo territorio. Un anno e mezzo fa Sabino ha ordinato a mio padre di picchiarmi davanti a lui poiché ero stato ritenuto colpevole di altri furti commessi sempre ad Apollinara. Mio padre mi ha chiesto se era vero ed ovviamente io ho detto di no e nonostante questo, Sabino ha forzato mio padre a picchiarmi. Questa estate, è venuto a casa mia mio cugino il quale mi ha detto di recarmi con lui a casa di Arturi, nel suo capannone sul retro dell’abitazione. Durante il viaggio mi ha riferito che si trovavano lì tutti i pezzi grossi i quali volevano chiarire se mio cugino insieme a Bastone avesse fatto un furto ai danni di un parente di Solimando, al quale avevano rubato un motORe a nafta. Mio cugino ci aveva detto che era stato effettivamente lui insieme a Bastone ma non l’aveva mai ammesso per paura di essere puniti. Arrivato lì abbiamo notato Sabino V. che faceva la sentinella. All’interno c’era Giovanni Arturi, Filippo Solimando, Luigi Sabino seduti uno di fianco all’altro, tipo Tribunale. Al centro sedeva Filippo Solimando, giudici a latere Arturi e Sabino. Appena giunto ci siamo salutati tutti con una stretta di mano e poi mi hanno fatto sedere su una sedia davanti al “Tribunale”. A fianco a me seduto su un’altra sedia c’era mio cugino. Il processo è quindi iniziato con le accuse mosse da Arturi il quale puntava fisicamente il dito contro mio cugino contestandogli il furto al parente del compare Filippo. Mio cugino ha negato tutto. A me hanno detto di andare via e di non commettere furti e se avessi avuto bisogno di soldi di rivolgermi a loro che mi avrebbero detto come fare i furti. Mentre andavo via io Giuseppe Manna e il cognato Marco, forse per subire un altro processo. Il pestaggio di Loris, coltellate e una sedia spaccata in testa. Alle otto del mattino bussano alla finestra di Loris, era Alfonso “Votamenzullo”: “Lorisa apri che ti devo dire una parola”. Io mi sono alzato dal letto ed ho aperto la porta d’ingresso. Senza darmi il tempo di accorgermene sono entrati in casa Alfonso insieme ad altri due ragazzi, due cugini, che senza parlare hanno subito iniziato a picchiarmi. Mi hanno afferrato per le braccia bloccandomi ed imbracciando un coltello ciascuno hanno iniziato a sferrarmi dei fendenti. Uno mi colpiva alla coscia sinistra, l’altro a quella destra. Il terzo rimaneva lontano dai coltelli e appena mi lasciavano i due si avvicinavano e mi colpiva ripetutamente con schiaffi e pugni sul volto e prendendo una sedia la passava al cugino che me la scaraventava violentemente in testa. Accusavo un forte dolore e sentivo scorrere del sangue sulla faccia. Iniziavo a sanguinare vistosamente dalle gambe che mi erano state colpite dalle coltellate e iniziavo ad avere paura di morire. I tre si allontanavano a grande velocità”. “Il Giuranna viene portato in questo capannone e lo processano. Se non ci fosse stato questo aver toccato qualcuno che stava più in alto, la cosa sarebbe rimasta circoscritta. C’erano episodi segnalati più volte dai carabinieri di persone che andavano in ospedale e si facevano refertare perché erano malmessi; simulavano altre cose e non dicevano il perché. E’ stato un lavoro di mettere insieme tutti questi dati. Poi hanno esagerato: c’è una conversazione emblematica che da segno della violenza e della tracotanza “se quello ha rubato con la mano gli si tira una martellata sulle mani. E gli si schiaccia la mano in modo che se va a rubare ancora gliela schiacciamo ancora fino a toglierla; si arrivava fino alle mutilazioni. Una sorta di attività punitiva”.
Tutti i NOMI delle persone coinvolte
Ecco i nomi dei destinatari dell’ordinanza applicativa delle misure cautelari (la maggior parte in carcere, alcune agli arresti domiciliari, altre con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria):
Giuseppe De Patto alias ‘U mapputu di 28 anni
Giovanni Arturi di 38
Cristian Filadoro di 26
Pierluigi Filadoro di 30
Natale Gencarelli alias Capu e chiuvu di 48
Salvatore Ginese alias Liggio di 24
Franco La Via di 55
Davide Lagano di 26
Giovanni Manfredi alias Capa i muluni di 46
Antonio Palummo di 37
Damiano Riforma di 25
Luigi Sabino di 42
Giuseppe Sammarro alias ‘U cardillu di 50
Alfonso Scarcella alias Votamenzullu di 28
Loris Schiavelli di 27
Pasquale Semeraro di 36
Filippo Solimando di 49
Alessandro Sposato alias Giacchettella di 41
Giuseppe Taranto di 44
Pasqualino Veronese alias Puliciaro oppure ‘U figliu du regnante di 27