Il caos nelle aziende sanitarie e ospedaliere, gli “appetiti” dei privati, l’ossessiva ingerenza della ‘ndrangheta, la conflittualità ,istituzionale e in generale i «danni enormi per l’utenza, già in difficoltà per motivi strutturali e risalenti nel temo o nella regione».
Nemmeno il Tar Calabria fa sconti alla sanità calabrese, descrivendone il disastro in un impietoso capitolo della relazione vergata, per l’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale amministrativo regionale, dal presidente Vincenzo Salamone. In un capitolo dall’eloquente titolo “il grave problema dell’inefficienza del settore sanitario” emerge un affresco in “nero” del comparto più tormentato della cosa pubblica in Calabria: è il quadro che il giudice amministrativo delinea in un report che, probabilmente non a caso, si chiude con un ricordo del compianto Franco Fortugno, il vicepresidente del Consiglio regionale che era anche medico al presidio ospedaliero di Locri. Lì dove le cosche spadroneggiavano e spadroneggiano ancora. Il viaggio del Tar nella malata sanità calabra parte dal contenzioso che ha spesso riguardato i rapporti tra la struttura commissariale e i privati. «I tre settori interessati – cliniche private per acuti e post acuti, strutture ambulatoriali e di laboratorio, strutture sociosanitarie – hanno vissuto una stagione ricca di contenziosi, con istruttorie della struttura commissariale e sentenze di alto valore non solo economico, di interesse anche normativo e di indirizzo per il futuro dei rapporti tra le parti». Merita attenzione, per il presidente del Tar Salamone, «l’adozione del Dca 174/18 con il quale viene dichiarata illegittima la proroga automatica o tacita dei contratti, per due motivi. Innanzitutto perché obbliga la struttura commissariale a definire i tetti di spesa per le varie tipologie di acquisito di prestazioni da privato entro la fine dell’anno precedente a a quello preso in considerazione dal punto di vista contrattuale, consentendo così al privato una seria programmazione. In secondo luogo, perché vengo evitate a priori eventuali tentazioni di prorogare migliori condizioni per i privati, come avvenuto in passato, con effetti nefasti per una Regione in piano di rientro come la Calabria». In particolare – si legge ancora – «un significativo contenzioso ha riguardato la riallocazione di risorse dall’acquisto di prestazioni ambulatoriali all’acquisto di prestazioni complesse erogate dalle cliniche per acuti e, in misura minore, per post acuti. La logica commissariale poggiava sul condivisibile assunto che i cittadini calabresi vanno fuori regione per interventi, soprattutto chirurgici e molto meno per attività ambulatoriale o di laboratorio. Le sentenze pronunciate in merito ai ricorsi delle strutture ambulatoriali, rigettandoli, non lasciano dubbi. La struttura commissariale, motivando opportunamente, ha il potere-dovere di usare le risorse a disposizione nell’unico interesse dei cittadini». Ma le sacche di confusione si registrano soprattutto nel pubblico, secondo quanto riporta la relazione presidente del Tar, «Altro spinoso tema – scrive Salamone – riguarda la gestione delle aziende sanitarie calabresi, che al momento è affidata a un direttore generale (Ao Pugliese Ciaccio), a un direttore sanitario con funzioni di direttore generale (Asp di Reggio Calabria), a un commissario a scavalco (Asp di Cosenza)per un mese, contemporaneamente commissario all’azienda ospedaliera Mater Domini di Catanzaro e sei altri commissari nelle restanti aziende sanitarie». La situazione si presenta «estremamente critica»| soprattutto nelle due aziende più complesse del sistema calabrese: le Asp di Cosenza e di Reggio, la più delicata essendo a rischio di scioglimento per infiltrazioni mafiose: «In questa situazione – rimarca il magistrato amministrativo – il rischio di far passare il messaggio tra i dipendenti che le loro aziende siano abbandonate e non interessino a nessuno è elevato. Ne discende uno scollamento tra gli uffici di difficile ricomposizione con enormi danni per l’utenza, già in difficoltà per motivi strutturali e risalenti nel tempo nella regione. E’ quindi auspicabile una collaborazione sinergica tra la Regione e la struttura commissariale da poco nominata per ridurre i tempi di incertezza gestionale delle due aziende citate, che distribuiscono servizi ai due terzi della popolazione regionale». Non tutto è da buttare, peraltro, secondo la relazione del presidente del Tar: «La terza commissione del Consiglio regionale ha licenziato la proposta di legge sull’integrazione dell’azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio con l’azienda ospedaliera universitaria Mater Domini, progetto che è in itinere da oltre 15 anni. Al di là della formula giuridica, “fusione per incorporazione, fusione del Pugliese Ciaccio nel Mater Domini, fusione del Pugliese Ciaccio con il Mater Domini”, che comunque hanno una a valenza diversa e che saranno oggetto di valutazione degli organi di governo, va visto positivamente il risultato finalmente raggiunto, che – a parere di Salamone – costituisce una tappa fondamentale del lavoro svolto soprattutto negli ultimi quattro anni su questo tema e obiettivo». Ma è giusto un flash, perché le negatività tornano a primeggiare. «Particolarmente critica – osserva nella relazione il presidente del Tar – è la situazione sanitaria dell’Asp di Reggio Calabria. Il 26 luglio 2018 il prefetto ha disposto l’accesso presso l’azienda al fine di “compiere accertamenti mirati allo scopo di verificare eventuali concreti, unici, rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare”. Va segnalato che già circa 11 anni fa l’allora Asp 5 di Reggio Calabria era stata sciolta per ingerenza della criminalità organizzata: il ripetersi di eventi analoghi a distanza di pochi anni dimostra che il problema non è stato risolto e non poteva esserlo giacche un’azienda sanitaria ha una complessità ben maggiore di una qualunque altro ente pubblico e richiede una guida con elevate competenze manageriali “dedicate” nel settore». La chiusura della relazione del presidente Salamone lascia senza fiato. «Del resto, merita di essere ricordata la dichiarazione dell’allora presidente della commissione antimafia Rosy Bindi che segnalava come ci sia una coincidenza tra i nominativi presenti nelle relazioni di scioglimento e di commissariamento di alcune Asl o di banche e la loro presenza in alcune logge massoniche. Bindi, riferendosi all’Asl 9 di Locri (anch’essa sciolta in quegli anni per infiltrazioni mafiose) evidenziava “la presenza all’interno dell’azienda di personale, medico e non, legato da stretti vincoli di parentela con elementi di spicco della criminalità o interessati da precedenti di polizia giudiziaria per reati comunque riconducibili a consolidati interessi mafiosi”. Incrociando i dati, “deve ritenersi non occasionale la significativa presenza di massoni in posti apicali dell’azienda sanitaria”. Va ricordato – conclude, eloquentemente, il magistrato del Tar – che il 16 ottobre 2005 era stato assassinato Francesco Fortugno, medico del presidio ospedaliero di Locri, all’epoca vicepresidente del Consiglio regionale».