La collina

La collina coriglianese si estende su circa 6000 ettari di terreno. Da Forestelle a Castello cinge a sud la Piana e costituisce un contrafforte alla Sila Greca

I coloni greci la trovano sterminata foresta di erica, corbezzolo, rovo, pioppo, salice, ontano, quercia, nelle sue diverse varietà come la suber (da cui Suveria e Suvariello), la farnia (da cui Farneto), la cerris (da cui Cirria), la ilex. Sistemata la pianura, i sibariti aggrediscono la collina iniziandovi il lento, lungo processo di trasformazione del paesaggio agricolo. La vite compare allora sui nostri colli e credo che le prime contrade ad ospitarla siano state Pomito, Suveria, Ligoni. I sibariti utilizzano la collina per la produzione del vino e del legno; inoltre la scelgono come luogo di villeggiatura non trascurando, per cure termali, contrada Forestelle dotata delle famose fonti e grotte Lusiadi. L'ulivo si vuole introdotto dall'Attica, io penso, però, che la pianta, allo stato di ogliastro, costituisse una delle principali essenze indigene delle foreste che occupavano la zona della futura strada consolare Rossano-Castrovillari a salire fino ad altitudini ottimali alla sua vegetazione. Innegabilmente i turini operano nel campo dell'ulivicoltura introducendo tecniche colturali specie per la propagazione. Sono, quindi, i coloni di Turio a battezzare l’ulivicoltura della zona e, probabilmente essi stessi iniziarono il processo di riscatto dell'ogliastro dal carattere di silvestrità. Tanto non esclude che i sibariti abbiano utilizzato l'ogliastro, se esistente, per la produzione e commercializzazione dell'olio. Il periodo romano certamente influenza il formarsi del latifondo, che noi ritroviamo ancora all'apparire dei basiliani del Patire per come si evince dalle donazioni di vastissimi territori, ricevuti dal monastero all'alba della sua vita. Comunque, se esaminiamo i diplomi di queste donazioni, la collina, fino a quell'epoca, non subisce grosse, profonde, né vaste trasformazioni. Le limitate attività agricole, pastorali ed artigianali emergenti, tuttavia giustificano la presenza nella zona di nuclei abitati organizzati. I basiliani del Patire, anche se discordo dal fatto che esercitarono direttamente l’agricoltura apportandovi innovazioni e trasformazioni e sviluppandovi  una  economia  dal  molto  discutibile  tipo  curtense, senza dubbio determinano la grande trasformazione della collina. Tanto può verificarsi per gli infiniti contratti di enfiteusi che consentono l'accumulo di ingenti investimenti di capitale lavoro su unità fondiarie, per lo più, appena autosufficienti. A questa opera di trasformazione, che avviene nel rigoroso rispetto della sistemazione idrogeologica trascurata solo dopo  l'abrogazione  della  feudalità,  contribuiscono certamente i cistercensi di S. Maria de Ligno Crucis, i quali, prima direttamente e poi tramite enfiteuti, operano nelle contrade Costa, Ligoni, Serra Palazzo, Rinacchio.  La trasformazione della collina, dunque, è, per lo più, opera dei coriglianesi, frattanto accresciuti e costituenti l'insediamento umano più consistente ed importante della zona. Se fra i nominativi degli enfiteuti non mancano quelli di famiglie prestigiose come Verderame, Mezzotero, Abenante, Castagnara, Perrone, Castriota, Costa, pur tuttavia la stragrande maggioranza di essi appartiene al piccolo e piccolissimo ceto rurale, che nella collina cerca la scalata sociale inibita in pianura, dominio di feudatari, suffeudatari e nobili in genere. A fine 1800 la collina appare ad oliveto su Ha 1800, a vigneto (per lo più promiscuo all'olivo) su Ha 1200 a pascolo e bosco su Ha 3000. Fico, pero, melo, mandorlo, ciliegio, fico d'india sono presenti in forma sparsa sia sui terreni coltivati, sia sui pascoli . I pascoli ed i boschi hanno un carico di 4000 capre, 3000 pecore, 200 scrofe. Le maggiori produzioni annue sono: olio q.li 4000; vino q.li 5000; uva passa q.li 150; carne da n. 8000 fra capretti e agnelli, da n. 700 ovini e caprini da rimonta, da n. 1000 magroni; lattonzoli n. 600; lana q.li 120; formaggi q.li 250; fichi secchi (“alice” e “minutille” sfusi, “jette”- “skarcelle”- “filarielli”- “pallotte” – “pupicelle”- “crucette” confezionati) q.li 700; legna da ardere q.li 100.000; carbone q.li 3000. Il ricavato lordo, rapportato ad oggi ed includendovi le produzioni minori non menzionate, può porsi pari a quattro miliardi di lire annue. Nel nostro secolo tale situazione permane fino agli anni 50 con la dolorosa parentesi del formidabile attacco di fillossera ai vigneti, che, partendo nel 1901 da Pomi­ to come focolaio, distrugge, in pochi anni, quasi tutti i vigneti. Comunque al 1925 la situazione è ripristinata con reimpianti su barbatelle americane. Dagli anni 50 l’esodo ha determinato l'abbandono della collina, ove oggi il dissesto è enorme nonostante la girandola di miliardi investiti dallo Stato per la sistemazione. Il recupero della collina in termini moderni di redditività non è ulteriormente differibile anche e maggiormente a salvaguardia della pianura.

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