Un mio “coevo”, novantunenne come me, Antonio Micalizzi, leggendo i miei articoli sul quotidiano “il Giornale”, ha voluto esprimermi la sua stima, telefonandomi, e diventammo amici.

Ci sentiamo spesso scambiandoci ricordi degli anni di guerra. E lui non manca mai di raccontarmi episodi inimmaginabili della sua adolescenza vissuta negli anni del conflitto, nell’oasi di un convitto miracolosamente scampato alla catastrofe della guerra. La sua adolescenza, dal 1942 fino ad Agosto del ‘45, la trascorse  a Cividale del Friuli, in un collegio per orfani di Camicie Nere  (suo padre, ex volontario nella guerra di Spagna, dove aveva combattuto a fianco della “Falange” di Franco, era poi caduto, in combattimento, in Africa Orientale, a Gondar, nel 1941 e fu massacrato e, pare, letteralmente divorato, dalle tribù indigene). L’Istituto in cui fu ospitato, in qualità di orfano, si estendeva su una superficie di 13 ettari, e comprendeva diversi fabbricati destinati a scuole elementari, scuole medie e professionali, piscine, teatro, cinema, campi sportivi ed un Istituto Tecnico per l’Agricoltura che, oltre alle coltivazioni, curava allevamenti di mucche ed altri animali domestici, assicurando preziose risorse alimentari a tutti gli ospiti dell’Istituto. Erano in 1200, con maestri, professori, assistenti, educatori e personale specializzato che li seguiva in tutte le necessità. Come cibo avevamo la stessa razione dei soldati al fronte, per cui nessuno ebbe mai a lamentarsi. Il 25 aprile del 1945 si scatenava la furia omicida delle bande partigiane della formazione comunista “Garibaldi” a caccia di tutto ciò che aveva odore di fascista ma, incredibilmente, non si accorsero di quel ghiotto bocconcino che avrebbe potuto essere di 1200 virgulti che, tutti, indistintamente, avevano il marchio di “prodotto fascista”. Per fortuna quei partigiani non erano del posto e probabilmente ignoravano il “peccato di origine” di quella “carne da macello”. Nessuno di loro fu coinvolto, proprio lì a Cividale, contigua alla Jugoslavia di Tito, nelle stragi dei “partizan” titini, innanzi tutto, e a quelle non meno feroci, dei partigiani  comunisti italiani che vedevano fascisti da eliminare in tutti quelli che non erano comunisti, specie se innocenti, specie se figli di fascisti, ancor più se innocenti, e spesso anche partigiani non comunisti, come nella vicinissima Malga  PORZUS, dove furono assassinati i partigiani non comunisti, GUIDALBERTO PASOLINI, fratello dell’allora non ancora famoso PIER PAOLO, e FRANCESCO DE GREGORI, zio dell’omonimo famoso cantautore, perché si rifiutavano di confluire nelle formazioni partigiane comuniste che, da tempo, in Friuli, si erano messi agli ordini di Tito. Rallentata la bufera delle violenze rosse per via della presenza degli americani, si ristabilì un po’ di ordine.

 Il 26 Agosto del ‘45, il gruppetto dei nove messinesi di cui faceva parte, accompagnato da un affidabile civile, con lo zaino fornito di abbondanti provviste, fu fatto salire a bordo di un camion Dodge accodato ad una lunga colonna americana. Era il ritorno a casa. Dopo 9 giorni su strade disastrate, raggiunsero il porto di Piombino in cui furono imbarcati sull’incrociatore Garibaldi, potendo così, finalmente, raggiungere Messina. E dopo tre lunghissimi anni che non la vedeva, poteva finalmente riabbracciare la mamma. Aveva appena 12 anni. Ed io, cosa posso fare per ringraziarlo di quell’istruttivo racconto se non che affidarlo ai miei lettori, come generosa liberazione delle indimenticabili vicende di un adolescente. Ma non mancai di far notare all’amico Micalizzi la “fortuna” avuta nell’essere scampato alla vendetta partigiana. E poi, sembra niente, aver attraversato, indenne, grazie alla protezione americana, il “triangolo della morte” Ferrara, Reggio Emilia, Bologna, infestato da quei cani rabbiosi assetati di sangue, senza nemmeno un graffio. Grazie, Micalizzi, per essere sopravvissuto, e grazie per il bel racconto.

Ernesto SCURA

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