di Salvatore Martino
Che la nostra sia diventata una società iniqua e in pericolosa frenata sul terreno dei valori e della civiltà è un dato, ormai, evidente e riscontrabile in tutto quel che accade ogni giorno.
Al dialogo si preferisce lo scontro, alla critica il disprezzo e la denigrazione, agli interessi della collettività si opta per quelli di parte. La violenza viene, addirittura, concepita come possibile opzione di fronte ad ogni presunta ingiustizia. Il bene non fa più notizia, non interessa, non fa più parte del corredo morale delle persone; è diventato, ormai, una espressione obsoleta di cui molti preferiscono disfarsene per sembrare più arditi e all’altezza della situazione. Alla prudenza e al rispetto si preferisce l’impulsività e l’arroganza. Di ciò che accade di buono e di positivo, ormai, non si trova traccia né sulla stampa né sui social. Lunedì 9 luglio, dopo vent’anni di dura guerra fra l’Etiopia e l’Eritrea, i due capi di stato, l’etiope Abiy Ahmed e l’eritreo Isaias Afwerki, hanno finalmente firmato un trattato che ha ratificato la fine della guerra, costata tantissimo alle due popolazioni sia in termini di vite umane che in termini economici. La notizia della pace - traguardo importantissimo e insperato - giunta dopo tanto sangue versato dall’una e dall’altra parte, non ha avuto alcuna eco significativa nella comunità internazionale. Nessuno sembra essersene accorto. Eppure, in tutti questi anni i media, spesso e volentieri, si sono occupati di questa guerra, sottolineando il fatto che era una delle cause per cui molti etiopi ed eritrei erano costretti a fuggire e a cercare riparo dall’altra parte del Mediterraneo. In Europa, la notizia della pace è stata trattata dalla stampa come una non notizia, nel senso che le è stata data solo dignità di cronaca. Come è possibile che, in un periodo così confuso e così difficile come quello che stiamo vivendo, in cui non si fa altro che litigare ogni giorno sul tema dei migranti, una notizia così importante non sia stata minimamente commentata? Il ripristino della pace in Corno d’Africa potrebbe tradursi nell’avvio di un processo nuovo che, se opportunamente guidato e incoraggiato dalle cosiddette nazioni civili, potrebbe indurre tanta gente, in conseguenza delle mutate condizioni, a restare e a lavorare per la ricostruzione. Perché nessuno se ne occupa? È molto inquietante questo silenzio, perché potrebbe significare l’esistenza di altri inconfessati interessi da parte dei potenti, oppure che la politica non sia più in grado di seguire questi processi. Se fosse così occorrerebbe un grande ripensamento da parte di tutti!