Schiavonea anni Trenta - Foto tratta dal sito fb "Schiavonea Ieri e Oggi" di Vincenzo Scarcella
di Giuseppe Franzè
Dal 1472 Girolamo Sanseverino, Conte di Corigliano e Principe di Bisignano, volle dare impulso alle innovazioni gestionali mirate ad incrementare le produzioni agricole, specie nelle terre di Marina del Cupo, ritenute le più idonee nel contesto delle modalità del decollo generale (i suoi successi imprenditoriali si materializzarono subito quando, nel 1483, si aggiudicò la gabella della seta).
Dal 1474 potenziò la coltivazione della canna da zucchero e nelle stesse terre della Marina ripristinò il “trappeto de lo zucchero” per la produzione della cannamella, poi esposta con successo alla Fiera di Lanciano. All’approdo della Marina, posto alla foce del Coriglianeto, dove ora sorge lo stella Madonnina, furono ormeggiati alcuni velieri in navigazione verso la Liguria e qui, nel 1475 riempirono le stive di grano, pagato ad 11 grana al tomolo, e di cannamella. (La Marina del Cupo era già un piccolo villaggio di pescatori ed infatti, in questo periodo, “tucti quelli che nce volessero tenere barche da pesca pagassero sey ducati l’anno per barca”. Una imposta che fu ritenuta dagli stessi pescatori contraria ad “ bene mores et pragmatiche”. Con l’avvento dei Saluzzo, nel 1638 i velieri buttarono le ancore all’ “approdo della Taverna”, e, dopo 45 giorni di intensi trasporti, ripartirono verso Genova e Livorno con un carico di 12 mila tomoli di grano su commissione di Bartolomeo d’Aquino. All’inizio del Settecento, approdarono al porticciolo in legno della Taverna altri velieri liguri, reduci dall’Egitto, ma poterono stivare poco grano, a causa del forte decremento di produzione da vero crollo nel 1697-98. Invece, nel 1743, i velieri genovesi e livornesi poterono caricare 10 mila tomoli di grano, pagato a 110 grana al tomolo, e mille di avena. L’andirivieni dei velieri si protrasse, con intervalli più o meno lunghi, sino al 1898 quando, il grande e prestigioso veliero “Esperia” reduce dal mare Egeo, buttò le ancore alla “Schiavonia” col progetto di acquistare olio. Ripartì verso Trieste dopo avere appreso che i serbatoi delle due grandi Pile erano al secco da alcuni anni. Le aziende di Casa Compagna, col trasferimento del barone Francesco a Napoli, erano in piena crisi e la loro gestione veniva garantita solo dai fattori, che avevano l’unico interesse di svalorizzarle, per poterle poi acquistare a prezzi stracciati.